Vini dealcolati: quando la burocrazia italica ci mette lo zampino

Autorizzati da un regolamento europeo del dicembre del 2021, in Italia la produzione è bloccata per una serie di regole cui il ministero all’Agricoltura tenta di metterci una pezza che rischia di fare ancora più danni.

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Vini dealcolati

L’economia italiana potrebbe girare bene, se solo la solita burocrazia italica non ci mettesse lo zampino, unitamente all’ufficio complicazioni cose semplici sempre attivissimo: ne sa qualcosa anche il comparto della viticoltura che dai vini dealcolati potrebbe trarre nuove leve per la crescita.

Il settore è regolato dal regolamento europeo 2021/2017 emanato il 2 dicembre 2021 che va nella direzione di consentire la produzione di vini senza gradazione alcolica per soddisfare le esigenze di alcuni mercati promettenti, come quelli dei paesi islamici o dei salutisti. Peccato solo che in Italia questo non sia ancora possibile per una serie di norme che impediscono alle cantine italiane di produrre questo genere di bevande, a partire dal fatto che il testo unico del vino non permette la produzione e detenzione in cantina di vini sotto un minimo alcolometrico di 8 gradi, superiore al livello ammesso per le categorie di bevande prive o a basso contenuto di alcol. Un vincolo che ha costretto alle aziende italiane che avessero voluto cimentarsi con questo nuovo segmento di mercato ad andare a produrre all’estero.

Il ministero dell’Agricoltura sta provvedendo per adeguare la norma italiana al regolamento europeo, proponendo un decreto che ha sollevato le proteste del settore perché le cantine che volessero imboccare il settore dei vini dealcolati dovrebbero dotarsi di una licenza di deposito fiscale per la produzione di alcol, similmente a quanto già avviene per le distillerie, cosa oggettivamente disincentivante sotto il profilo burocratico ed economico.

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Ma anche penalizzante per l’ambiente, perché se una cantina volesse produrre vini dealcolati senza soggiacere alle norme della licenza di deposito fiscale per la produzione di alcol, dovrebbe rivolgersi ad una distilleria, realtà quasi tutte concentrate al Nord Italia, con la necessità di trasferire carichi di vino su camion lungo la penisola se questo proviene da cantine del Centro-Sud Italia.

Questo, però, non è tutto: c’è anche lo zampino del fisco che sul quantitativo di alcol prodotto, anche se a bassa gradazione, pretende il dazio delle accise, rendendo di fatto economicamente poco vantaggiosa tutta l’operazione. Con un contrasto frontale con un’altra norma, perché il testo unico sulle accise 504/1995 consente alle cantine di dealcolare fino al 20% del tenore originario del vino nel caso in cui questo sia più altodel dovuto senza sorta di autorizzazioni e di gabelle fiscali.

C’è poi la necessità di imbottigliare subito il prodotto ottenuto dalla dealcoalzione perché più esposto agli attacchi microbiologici in quanto privato della protezione del contenuto alcolico, che potrebbero danneggiarequalitativamente ed organoletticamente il prodotto, con costi aggiuntivi rispetto alla lavorazione diretta in cantina.

Di qui la richiesta dele organizzazioni vitivinicole al ministero a modificare il decreto prima della sua emanazione per evitare che la miope burocrazia possa uccidere nella culla un settore economico promettente.

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