Il presidente della Commissione europea uscente, Ursula von der Leyen, punta a fare il bis succedendo a sé stessa come candidato di punta del Ppe forte del supporto della Cdu-Csu tedesca: l’ufficializzazione definitiva avverra a Bucarest, al congresso dei Popolari il prossimo marzo.
Sarà comunque un percorso lungo e anche periglioso, che già cinque anni fa von der Leyen ha provato sulla sua pelle, quando è stata eletta solo grazie ai 14 voti della pattuglia del Movimento 5 stelle che ha fatto una delle sue tante piroette, abbandonando l’asse con la Lega Salvini che era contraria alla sua nomina. E i 14 voti grillini sono stati il viatico per un’elezione con una maggioranza risicata di soli 9 voti che, indirettamente, hanno costituito un’assicurazione per il futuro di un certo Luigi Di Maio una volta terminata la sua rocambolesca esperienza di resistibile ministro degli esteri dopo la trombatura elettorale delle Politiche 2022, incassata sotto forma di alto rappresentante dell’Unione europea per i paesi del Golfo Persico.
Le modalità di elezione del nuovo vertice dell’Unione europea sono piuttosto complicate. E’ il Consiglio europeo, cioè l’assise dei capi di Stato o di governo dell’Unione, a proporre un candidato alla presidenza della Commissione Ue, tenendo conto dei risultati delle elezioni del Parlamento europeo tramite una votazione a maggioranza qualificata, che poi deve incassare anche la votazione a maggioranza semplice del Parlamento europeo.
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Per Ursula von der Leyen la scalata per la rielezione è di 5 grado, anche se è la favorita per arrivare nuovamente sulla poltrona più alta della Commissione. Di norma, tocca al partito di maggioranza esprimere un candidato e il Ppe dovrebbe essere nuovamente la formazione politica con il maggiore numero di seggi anche nel nuovo europarlamento. Poi dovrà coalizzare su di sé una maggioranza sufficiente, sia tra i vertici dei paesi comunitari che tra i membri dell’assemblea legislativa.
Nel 2019, von der Leyen non ottenne un plebiscito: 383 voti a favore (ne servivano 374 per avere l’incarico), 327 contro e 22 astensioni. Ottenne il sostegno del Ppe, dei liberali di Renew Europe e dei tre quarti dell’S&D (i socialisti tedeschi, austriaci, olandesi, belgi e i greci non la votarono). Contrari i Verdi, la sinistra Gue, parte dei conservatori dell’Ecr (tra cui Fratelli d’Italia) e di Identità e democrazia (inclusa la Lega).
Nel nuovo europarlamento il Ppe dovrebbe rimanere più o meno stabile, Renew Europe dovrebbe subire un forte calo, così come l’ala socialista di S&D e ambientalista dei Verdi. In forte ascesa dovrebbero essere i conservatori di Ecr e le destre di Id, con quest’ultima che dovrebbe registrare un risultato a doppia velocità, con un forte aumento dei tedeschi di Afd e del Rassemblement National di Marine Le Pen, mentre dovrebbe subire un tracollo la Lega Salvini (dal 34% del 2019 incassato alle elezioni italiane ad una quota ben sotto il 10% attuale).
A pesare sulla ricandidatura di von der Leyen il suo comportamento disinvolto e opaco sulla gestione degli acquisti centralizzati dei vaccini Covid, le limitazioni alle libertà personali nel periodo pandemico, la gestione degli acquisti energetici nella crisi russa e, soprattutto, il farlocco piano del “Green Deal” che, dopo l’addio del vicepresidente della Commissione, il socialista olandese Frans Timmermans, l’aspirante bis presidente si è affrettata a smontare sull’onda delle proteste degli agricoltori, degli industriali della plastica e del vetro, oltre che del settore dell’automotive.
Insomma, l’esperienza politica di Ursula von der Leyen al timone dell’Unione europea non si è discostata da quella che lei ha impersonato al governo della Germania nelle vesti di ministro alla famiglia, prima, e della difesa, poi, incassando un fallimento dietro l’altro. Certo, la politica è piena di esempi di piroette politiche con triplo salto carpiato con avvitamento, ma un po’ di decenza e di maggiore linearità e coerenza politica non guasterebbe, soprattutto per affrontare la questione del rilancio dell’economia e dell’autosufficienza europea senza piegarsi agli interessi economici e strategici di potenze straniere, così come si è fatto in questi cinque anni.
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