In Italia servirebbe un piano casa capace di offrire un adeguato numero di abitazioni per combattere il caro affitti che oggi scoraggia la mobilità territoriale dei lavoratori, con tanti che rinunciando ad incarichi, specie nel pubblico impiego nelle realtà del Nord Italia, perché il caro affitti e il caro bollette drena quasi interamente la loro capacità reddituale.
Secondo Eurostat in Italia quasi il 9% della popolazione soffre per un sovraccarico del costo dell’abitare con una spesa pari al 40% del reddito disponibile, una percentuale che sale all’11,2% se si prende a riferimento la popolazione tra i 25 e i 34 anni. E secondo Housing Europe la percentuale di nuclei in grande difficoltà o in difficoltà supera in Italia il 25%, a fronte del 15% di media in Austria e Francia.
Il problema del caro casa potrebbe essere affrontato con un nuovo piano casa nazionale, simile a quello degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento con cui i governi di allora cercarono, riuscendoci, di dare una risposta al bisogno abitativo di masse di persone rurali trasferitesi nelle aree urbane attratte dal posto di lavoro nelle varie fabbriche nate dopo la ricostruzione. Fu un vero successo, con ben 650 cantieri aperti in tutto il paese nell’autunno del 1949 resi possibili dalla struttura organizzativa di Ina-Casa tanto che a regime fu capace di realizzare ben 550 nuove abitazioni alla settimana, puntualmente assegnate alle famiglie aventi diritto. Oltre ad essere stato un notevole volano sul fronte dei progettisti, con architetti di punta coinvolti nella progettazione degli edifici.
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Nei primi sette anni di vita del piano Ina-Casa, noto anche come piano Fanfani dal nome del ministro dell’epoca Amintore Fanfani titolare delle competenze sulla casa, furono investiti complessivamente 334 miliardi di lire per la costruzione di 735.000 vani, corrispondenti a 147.000 alloggi. Alla fine dei quattordici anni di durata del piano, i vani realizzati saranno in totale circa 2.000.000, per un complesso di 355.000 alloggi in oltre 5.000 comuni italiani distribuiti nell’intero territorio italiano. Il Piano Ina-Casa alla sua scadenza aveva mobilitato 20.000 cantieri che coinvolsero circa 41.000 edili all’anno, assorbendo circa il 10% delle giornate-operaio dell’epoca.
Dopo la fine del piano, in Italia di interventi strutturali nazionali a favore della residenzialità non se ne sono più visti, lasciando spazio agli interventi di edilizia sociale o agevolata operata dai vari enti locali alle prese con sempre maggiori difficoltà di bilancio.
All’oggi, invece di parlare di tassazione di extraprofitti conseguiti da banche e assicurazioni, extraprofitti che non sono sterco del Diavolo, ma legittimi guadagni derivanti dalle decisioni strampalate della Banca centrale europea con il suo caro tassi, ideare un nuovo piano casa coordinato dallo Stato con il finanziamento da parte di banche e assicurazioni potrebbe essere una situazione vincente per tutti. Sul fronte delle imprese finanziarie queste potrebbero investire parte dei propri proventi in attività garantite che rendono loro dei dividenti sul fronte degli affitti; dal fronte dello Stato, più che puntare ad improbabili gettiti finanziari stante l’esperienza degli ultimi anni, potrebbe creare un volano economico finanziario senza le storture e gli oneri del Superbonus 110%, puntando a creare nuovi quartieri e alla riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente, soddisfacendo così anche gli obblighi della nuova direttiva europea. Oltretutto contribuendo a calmierare il mercato delle locazioni specie nelle grandi città dove hanno raggiunto livelli inaccessibili per molti.
La partita è aperta e ora tocca alla politica crederci fino in fondo con uno scenario di almeno 10 anni.
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