L’audizione al Parlamento dell’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, è riuscita a mettere d’accordo maggioranza e opposizione sulle critiche al suo operato che sta progressivamente deindustrializzando l’Italia come produttore di auto a favore di altre province del gruppo, a partire da quelle francesi, chez il governo francese presente direttamente nell’azionariato del gruppo.
Tavares nell’audizione parlamentare si è dimostrato quel che è: un abile scaricabarile delle proprie responsabilità sui contribuenti, colpevoli a suo dire di non supportare adeguatamente i produttori di auto e di non offrire adeguati contesti di competitività, a partire dal costo dell’energia. Ma il climax della sua interpretazione tragicomica Tavares l’ha raggiunta affermando che Stellantis non chiede sovvenzioni per sé, ma per quei poveri consumatori che non hanno abbastanza soldi per comprare le auto elettriche che costano il 40% in più di una con il motore termico, sorvolando sul fatto che questo costituisce una parziale partita di giro, visto che non si possono vincolare gli incentivi all’acquisto ai prodotti di un solo gruppo.
Il mondo dell’auto che il pensionando Tavares (si ritirerà nel 2026 con liquidazione e pensione a peso d’oro) ha descritto ai parlamentari italiani forse sta nel suo libro dei sogni, ma la realtà è che l’Italia sta velocemente uscendo dal novero dei paesi produttori di automobili, visto che nel 2024 dagli stabilimenti italiani di Stellantis usciranno poco più di 300.000 pezzi, a fronte del milione promesso al governo in cambio degli incentivi all’acquisto già erogati nel 2024.
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Fortemente critico nei confronti di Tavarbes anche il neo presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, che ha restituito con gli interessi l’abbandono della “vecchia” FCA dell’associazione all’epoca di Marchionne: «anche le imprese devono fare la loro parte: per affrontare crisi come quella della filiera dell’automotive servono piani industriali seri, servono imprese che siano serie sul territorio e che restino a costruire i propri prodotti nel nostro Paese: chiedere incentivi è una pazzia».
Ecco, per rilanciare in modo stabile il mercato dell’auto italiano, a prescindere da Stellantis e dai suoi modelli, servirebbe che il governo Meloni ed in particolare il ministro all’Industria Adolfo Urso cambiasse prospettiva, spostando i fondi per gli incentivi all’acquisto già stanziati per il 2025 e 2026 dagli acquisti dei privati a quelli delle aziende, provvedendo dopo almeno tre decenni di deroghe al regime ordinario europeo, alla completa deducibilità dei costi d’acquisto e di gestione delle auto aziendali, così come chiedono i concessionari e pure gli stessi costruttori.
Un siffatto scenario permetterebbe di stabilizzare il mercato con circa 350-400.000 vetture in più all’anno, visto che le aziende e le partite Iva programmano i loro acquisti e sostituzioni nel tempo, con una rotazione media di 4 anni, contro i 13 anni ed oltre dei singoli privati.
Sarebbe uno scenario tre volte positivo: uno, per consentire alle aziende maggiore competitività scaricando costi oggi insostenibili legati alla mobilità; secondo, anche in Italia i maggiori immatricolatori di auto nuove sarebbero le imprese, così come avviene in Europa; terzo, pure i dipendenti sarebbero contenti di avere in uso un veicolo aziendale a costi particolarmente contenuti, rinnovato frequentemente. Con vantaggi anche per i privati che potrebbero acquistare sul mercato dell’usato veicoli “freschi” con tre-quattro anni di anzianità ad un costo dimezzato rispetto a quello del nuovo decisamente troppo caro.
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