Requiem per l’auto elettrica? Crollo delle vendite e chiusura di fabbriche

Il cambio di passo sembra vicino, con le case che stano in fretta e furia dotando di motore termico modelli nati solo elettrici, mentre tutti gli obiettivi europei si stanno dimostrando irrealistici.

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Requiem per l’auto elettrica

Requiem per l’auto elettrica? I primi segnali sono sotto gli occhi di tutti, con le case costruttrici alle prese con il crollo delle vendite in carenza di incentivi pubblici, ritorno al motore termico per modelli nati esclusivamente elettrici, chiusura di intere fabbriche per l’insostenibilità dei costi di produzione di auto elettriche come l’impianto Audi di Bruxelles, specie ora che la concorrenza dei modelli cinesi è decisamente più competitiva della produzione europea.

Tutto questo insieme di condizioni porta al requiem per l’auto elettrica, almeno nelle intenzioni del “Green Deal” voluto dalla Commissione europea di Ursula von der Leyen e del suo ex vicepresidente, il socialista Frans Timmermans, tant’è che pure lei, fiutando l’aria di fine legislatura aveva impresso una prima frenata sotto la spinta della sua fazione politica, il Partito popolare europeo, complice anche gli effetti sull’economia continentale dell’elettrificazione della mobilità, specie sotto il profilo dell’occupazione, con 2 milioni di posti di lavoro diretti in meno e un’altra decina nell’indotto.

Poi, c’è l’aspetto della competitività del prodotto auto elettrica cinese, che ha saputo evolversi rapidamente, sia nei contenuti tecnologici che nello stile, oltre a fruire su enormi incentivi pubblici, statali e locali, che di fatto ne hanno drogato i costi, potendo andare sul mercato, a parità di contenuti con il prodotto europeo, a sconto di almeno il 30-40%, tanto da avere indotto la Commissione europea a ricorrere temporaneamente all’arma dei dazi per tentare di riequilibrare la situazione, anche se sarà destinata al fallimento. Perché colossi come Byd per dribblare i dazi europei, hanno deciso di investire un miliardo di dollari per realizzare un Turchia – che fruisce delle condizioni di libero scambio con l’Ue – un impianto di produzione da 300.000 auto l’anno.

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A pesare c’è anche la giustificazione ambientale, con la vulgata che l’elettrificazione della mobilità avrebbe tagliato le emissioni inquinanti collegate. Peccato che si sia guardato la punta dell’iceberg, dimenticandosi della parte sommersa, visto che l’auto elettrica sposta soltanto le emissioni inquinanti dalla strada al luogo dove si produce energia e le batterie di accumulo.

Viceversa, l’efficienza raggiunta dai motori a combustione interna, specie quello Diesel, e l’utilizzo di carburanti a basso tenore di carbonio ottenuto da materie vegetali di scarto possono ridurre fino al 90% le emissioni, senza alcun contraccolpo sull’occupazione e sulla manifattura europea, oltre senza nessun cambio dell’infrastruttura di rifornimento.

Ora, serve un concreto passo indietro rispetto alle derive demagogiche di una certa sinistra ambientalista che si è fatta turlupinare dalla vulgata dell’elettrificazione della mobilità, che è servita solo per spalancare il mercato europeo alle importazioni dalla Cina (dal 2022 al 2024 la quota di mercato dell’auto cinese è passata dal 4 al 25%), cancellando il divieto al 2035 della vendita in Europa di veicoli con motore termico, anche alla luce del fatto che stanno per entrare sul mercato motori termici alimentati ad idrogeno, ad emissioni zero.

Certo, si dovrà vedere come farà Ursula von der Leyen a conquistare il secondo, immeritato mandato alla guida della Commissione europea – scenario tutt’altro che sicuro, visto che pure all’interno del Ppe c’è una vastissima fronda nei suoi confronti: al congresso di nomina del candidato presidente, solo la metà dei Popolari l’ha votata – specie se ufficializzerà l’ingresso in maggioranza del gruppo dei Verdi che hanno posto come condizione il mantenimento di tutti i dogmi del “Green Deal” che ormai fa a cazzotti con la realtà e, soprattutto, con gli interessi degli europei.

 

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