La Cina è diventata la maggiore realtà nella produzione di autoveicoli del mondo con il record di 30,16 milioni di esemplari nel 2023, record che si accompagna anche a quello delle esportazioni a quota 4,91 milioni con una crescita del 58% rispetto al 2022, valore che ha superato anche il Giappone fermo a quota 4,3 milioni.
Il record cinese non è determinato solo dalle imponenti dimensioni di quel mercato, ma soprattutto dalle politiche di sovvenzione del governo centrale – finite dopo 11 anni si forti incentivi – e di quelli locali, oltre che sul fronte dei consumatori per sostenere l’assorbimento della produzione di autoveicoli, specie dei modelli elettrici, dove anche nella patria dell’auto elettrica iniziano ad esserci forti segnali di disaffezione per indirizzare gli acquisti verso i modelli con motori a combustione.
La forte accelerazione della produzione di autoveicoli ha fatto sì che gran parte di questa si riversi all’esportazione, con destinazione prioritaria sul mercato russo lasciato deserto dai prodotti europei causa sanzioni per l’invasione dell’Ucraina, ma anche verso l’Europa, dove la penetrazione del prodotto auto cinese è cresciuta in modo vertiginoso, tanto da eguagliare agli stessi livelli delle auto coreane e giapponesi in un quarto del tempo impiegato.
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A preoccupare i produttori europei è la concorrenzialità dell’auto cinese sul fronte del prezzo, visto che su quello tecnico ha eguagliato – se non superato – il prodotto europeo, che mediamente più basso dal 15 al 20%, livello che fotografa anche il ridotto dazio d’ingresso (il 10%) sul mercato europeo rispetto a quello americano (25%), quando il prodotto europeo per entrare su quello cinese è taglieggiato da dazi variabili dal 25 al 40%.
Su questo aspetto, la Commissione europea ha aperto un’inchiesta per capire se il governo cinese applichi sovvenzioni sulle esportazioni di auto sul mercato europeo, anche se c’è il rischio che nelle more della procedura le importazioni crescano ulteriormente mettendo fuori combattimento le case produttrici europee più deboli per evitare il ripetersi di quanto già accaduto con l’elettronica di consumo (telefoni, televisori ed elettrodomestici) e dei pannelli fotovoltaici.
Per evitare di essere travolti dalla crescita dell’auto cinese, si deve intervenire anche a livello nazionale, a partire dalla nuova tornata degli incentivi che dovrebbero iniziare da febbraio 2024. In questo contesto, il ministro all’Industria e del “Made in Italy”, Adolfo Urso, deve evitare di ripetere l’errore M5s che ha favorito l’auto elettrica in termini di entità degli incentivi rispetto a quelle con motore termico, che si vorrebbe addirittura aumentare rispetto al 2023, nonostante che i consumatori non li abbiano utilizzati.
Se effettivamente si vuole sostenere i consumatori nel rinnovare il vetusto parco auto, Urso abbia il coraggio di non ascoltare le sirene dell’elettrificazione della mobilità prevedendo incentivi uguali per tutti i veicoli a prescindere dalla loro tecnologia, limitandosi a richiedere il rispetto dello standard Euro 6.
Una scelta dettata anche dalla realtà, perché i consumatori hanno già dimostrato di essere più consapevoli dei sognatori europei dei fautori del “Green Deal” che sia avvia alla cancellazione, continuando a preferire l’auto con motore a benzina e a gasolio, tanto più che anche gli utilizzatori professionali di veicoli come le società di autonoleggio – ultima la Hertz – stanno dismettendo anticipatamente i veicoli elettrici già in flotta bloccando gli acquisti dei nuovi per via degli oneri troppo elevati per la loro gestione e per la bassa richiesta da parte degli utenti. Per non dire della forte svalutazione delle auto elettriche sul mercato dell’usato, vuoi per l’effetto della riduzione del prezzo del nuovo, vuoi per i maggiori oneri di riparazione e assicurazione.
Insomma, la realtà è servita ed è sotto gli occhi di tutti. Tocca anche alla politica e al ministro Urso vederla senza accondiscendere alle pressanti richieste degli importatori esteri che hanno il problema di vendere in Italia auto elettriche ed elettrificate di fatto invendibili. Ne va della credibilità della politica di un governo di centro destra e degli interessi nazionali tanto cari al governo Meloni.
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