Anche se l’Italia ha chiuso il 2023 un pochino meglio della media europea, portando a casa una crescita del Pil dello 0,7%, superiore allo 0,5% della media europea e decisamente meglio della Germania che ha chiuso in recessione con un -0,3%, crescono le preoccupazioni attorno ad una ventata di insolvenze dei prestiti con “garanzie Covid” sottoscritti nei 28 mesi di validità fino a giugno 2022 dei decreti “Cura Italia” e “Liquidità”, specie ora che termina il periodo di preammortamento, con il solo pagamento della quota interessi – in forte aumento grazie ai rialzi dei tassi causati dalla Banca centrale europea – cui s’aggiunge anche il rimborso della quota capitale.
Già ora le imprese stanno annaspando e, secondo uno studio di Crif Ratings, il tasso d’insolvenza delle società di capitali italiane potrebbe crescere al 3,9%, in crescita di un punto in più rispetto al già negativo 2023, cui s’aggiunge la stretta sul mercato del credito che le banche hanno operato da ottobre 2022 a ottobre 2023, con un taglio di 47 miliardi di prestiti alle aziende. Periodo in cui le sofferenze nette sono cresciute a 18 miliardi (+10%).
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Nei 28 mesi in cui sono state attive le misure di sostegno al credito con i decreti “Cura Italia” e “Liquidità”, le richieste di garanzie per nuovi finanziamenti bancari presentati al Fondo di garanzia per le Pmi hanno raggiunto 256,8 miliardi di euro, cui bisogna aggiungere altri 42 miliardi coperti dagli strumenti messi in campo da Sace, facendo sì che nel 2020 l’importo dei finanziamenti erogati dal sistema bancario sia stato del 54,9% superiore rispetto al pre-pandemia.
Tra aumento dei tassi d’interesse che non caleranno almeno fino a primavera inoltrata, la crisi Ucraina e del Medio Oriente e la difficoltà dei traffici merci in Mar Rosso rischiano di accendere una miccia sulla sostenibilità dei conti aziendali, tanto che secondo uno studio di Unimpresa i prestiti in scadenza ammonterebbero a circa 125 miliardi, con il 60% sottoscritto a tasso variabile che hanno dovuto sopportare anche la mannaia del caro tassi operato dalla Bce.
Di fatto, si sta per assistere ad un classico “cane che si morde la coda”, con una serie di squilibri finanziari che rischiano di affossare la sostenibilità di molte aziende che iniziano a saltare qualche rata dei prestiti, con la cassa che si erode e il merito creditizio che si abbassa, con la conseguenza di rendere sempre più difficile l’accesso al credito che chiude sempre di più i rubinetti.
Una sorta di tempesta perfetta che rischia di riflettersi direttamente sui conti pubblici italiani, perché i prestiti con “garanzie Covid” insolventi si trasformano automaticamente in nuovo debito pubblico, già di suo mostruoso, con il governo Meloni già alle strette sulla sostenibilità dei conti pubblici con una previsione di crescita nella Finanziaria 2024 che è nella realtà dimezzata e già 30 miliardi di risorse fresche da trovare per confermare i provvedimenti 2024 del taglio del cuneo contributivo, l’avvio della riforma fiscale e la stabilizzazione del debito pubblico.
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