La messa a terra delle risorse del Pnrr italiano prosegue piano, quasi fermi a tre anni dall’avvio e ad altri tre alla fine del piano, con solo 46,65 miliardi dei 102,5 già incassati (e rispetto ai 194,4 miliardi che sono di competenza dell’Italia) effettivamente spesi dal governo italiano. Ma attenzione: nel computo della spesa rientrano anche 26,47 miliardi assorbiti dai crediti d’imposta dei Superbonus, Industria 4.0 e incentivi per la ricerca e sviluppo. Di fatto di questi 46,65 miliardi solo 18,9 si sono trasformati in investimenti netti.
Il premier Giorgia Meloni fa professione di soddisfazione per i risultati conseguiti: «i tanti obiettivi centrati ci incoraggiano a dare sempre di più, ma il lavoro non è finito, abbiamo ancora molto da fare». Ora il ritmo della spesa accelererà, sottolinea il ministro per gli Affari Europei incaricato della gestione del Pnrr, Raffaele Fitto, ribadendo anche il clima di lavoro «molto positivo e costruttivo» con la Commissione Ue.
La situazione che emerge dalle cifre crude della IV relazione sullo stato di attuazione del piano, approvata dalla Cabina di regia sul Pnrr convocata e presieduta da Fitto a Palazzo Chigi però non è così rosea. Le prossime sfide sono 39 obiettivi e traguardi associati alla sesta rata, che ammonta a 9,6 miliardi di euro; 74 obiettivi e traguardi legati alla settima tranche, pari a 19,6 miliardi.
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Nel 2023, segnala la relazione, sono stati spesi 21,1 miliardi contro i 40,9 indicati l’anno precedente nella Nadef, ma Fitto fa osservare come sia stato superato lo step «della progettazione e delle gare di appalto, quindi siamo di fatto nella fase di realizzazione di tutti gli interventi. Questo è un elemento rilevante – spiega – che inciderà molto positivamente sui numeri complessivi della spesa».
Secondo il ministro a fare correre la spesa contribuirà anche la revisione del piano e sui progetti che sono usciti rassicura: «per il decreto i tempi non saranno lunghi. Parliamo di un provvedimento che non ha una scadenza, è necessario fare bene, velocemente ma non in fretta. Il decreto dovrà dare copertura a tutti i progetti che sono usciti dal Pnrr affrontando numerosissime questioni sulla fase di attuazione della revisione».
A livello di singoli comparti della spesa del Pnrr, il ministero a cui sono state assegnate più risorse è quello delle Infrastrutture e dei Trasporti di Matteo Salvini: dei 39,7 miliardi di cui dispone ne sono stati spesi solo 6,1 (1,32 nel 2023), pari al 15% circa. Nella classifica dei dicasteri che hanno ricevuto più finanziamenti segue il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica con 34,6 miliardi, di cui spesi 14 (la cifra più alta), pari a circa il 40%. Segue il ministero delle Imprese e del “Made in Italy” con 19,6 miliardi destinati, facendo registrare la percentuale di spesa più elevata, il 70%, frutto di 13,7 miliardi spesi.
Al ministero dell’Istruzione e del Merito sono destinati 17,5 miliardi di cui spesi circa 3, pari al 17%. Dotazione a due cifre anche per il ministero della Salute: 15,6 miliardi assegnati e solo 590 milioni spesi al 2023, ovvero circa il 3,8%, nonostante la situazione spesso drammatica del comparto sanitario nazionale. Anche il dipartimento della Trasformazione digitale vede una quantità importante di risorse da spendere: 12,8 miliardi, di cui spesi al 31 dicembre 2023 1,2 miliardi, pari a circa il 9,3%.
Il ministero dell’Università e della Ricerca ha in dotazione invece 11,7 miliardi e di questi ne ha speso 1,4, ovvero circa il 12%. Dei 7,2 miliardi assegnati invece al ministero del Lavoro ne sono stati spesi finora solo 59 milioni, interamente nel 2023. 4,2 miliardi vanno al ministero della Cultura, che ha speso al 2023 152 milioni, pari al 3,5%. Il ministero dell’Agricoltura beneficia di 3,7 miliardi circa, a fronte di 201 milioni spesi, il 5,4%. Al ministero della Giustizia sono assegnati 2,7 miliardi, di cui spesi 680 milioni, il 26% circa. 2,4 miliardi vanno invece al ministero del Turismo, che ha speso 67 milioni.
Il problema è la capacità di spesa della macchina italiana, con il problema che dal 2024 al 2026 si dovranno utilizzare sulla carta 150 miliardi di euro, 50 miliardi all’anno in media: una cifra mai gestita nella storia del paese.
Per il governo Meloni si propone un dilemma: a fronte della conclamata incapacità di spesa delle amministrazioni pubbliche e considerato che circa 120 miliardi dei 194,4 miliardi sono a debito, piuttosto che sprecarli in spese di piccolo cabotaggio come ha già denunciato da par suo il premier, non sarebbe il caso di fermare la richiesta di erogazione di nuove rate del Pnrr e di limitarsi alla spesa ottimale di quanto già incassato, specie di quella settantina di miliardi a fondo perduto?
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