Come ogni fine anno, arriva il decreto “Milleproroghe” con cui il governo di turno delibera i ritocchi tariffari sui pedaggi autostradali. Nel 2024 gli aumenti riguarderanno 19 tratte con incremento fino al 2,3%. Sono sei quelle che non vedranno rincari, ma solo perché si trovano in una fase transitoria di concessione scaduta o di subentro di un nuovo gestore e quindi, come spiega il ministero delle Infrastrutture, «non ricorrono i presupposti per il riconoscimento di adeguamenti tariffari», che in teoria dovrebbero essere riconosciuti a fronte di investimenti da inserire nel Piano economico- finanziario.
Subiscono aumenti pieni la Milano Serravalle, l’Asti-Cuneo, la Brescia-Padova, l’Autovia Padana. Aumenti ridotti per Autostrade per l’Italia (1,51%), Tangenziale di Napoli (0,76%), Salerno-Napoli (1,86%). Pedaggi autostradali invariati per Autobrennero, la A10, l’Alto Adriatico, la Salt (tratto ligure toscano), la A 21 e la Strada dei Parchi.
Le tariffe autostradali sono rincarate del 2,3%, valore corrispondente all’indice d’inflazione (Nadef) per l’anno 2024, cui seguiranno eventuali adeguamenti rispetto a questa cifra, in difetto o in eccesso, sulla base dei rispettivi piani economico-finanziari.
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Per le associazioni dei consumatori gli aumenti dei pedaggi autostradali sono immotivati. Per Assoutenti i rincari sono «apparentemente finalizzati a finanziare i lavori sulla rete, in realtà contribuiscono ai profitti delle società autostradali», mentre per il Codacons i rialzi oltre che «del tutto ingiustificati».
Il problema italiano è relativo alle 5 concessioni autostradali scadute sulle quali il governo Meloni e quelli precedenti si sono baloccati tra le pressioni per arrivare ad una proroga tal quale in capo all’attuale concessionario – cosa impedita dalle regole europee -, la gara europea e l’affidamento “in house” della concessione. La questione è che non si riesce a superare il blocco che alla fine di una concessione – quindi ad opera ampiamente ammortizzata con i relativi legittimi guadagni per il concessionario – l’autostrada passi dalla disponibilità del concessionario a quella del concedente – lo Stato o il suo braccio operativo Anas – e si provveda alla liberalizzazione della sua percorrenza.
Si tratta di un fatto che in una realtà simile a quella italiana come in Spagna è normalità e negli ultimi anni a Madrid si è provveduto in più riprese a liberalizzare ben 1.300 km di rete autostradale a concessione scaduta. In Italia ci sarebbero le condizioni per liberalizzare 1.001,7 km di rete autostradale con concessione già scaduta.
Sarebbe doveroso che il governo Meloni operasse una cesura con l’operato dei governi precedenti, sempre piuttosto acquiescenti ai desiderata dei concessionari – clamoroso il caso della mancata revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia del gruppo Benetton dopo il clamoroso crollo del ponte Morandi di Genova, trasformata in un acquisto della concessionaria da parte dello Stato per ben 9,3 miliardi finite nelle casse del gruppo trevigiano – procedendo nel senso naturale delle norma a fine concessione, con il passaggio del bene nella piena disponibilità del patrimonio statale, a tutto vantaggio dei cittadini e delle imprese di autotrasporto.
E’ così troppo difficile interrompere un feudalesimo autostradale che con i governi di centro sinistra e tecnici è prosperato all’inverosimile? Al governo Meloni la risposta.
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