Le Olimpiadi invernali 2026 di Milano-Cortina paiono essere nate sotto una cattiva stella, dove oltre ai consueti ritardi nell’effettuazione delle gare di appalto, nell’apertura e avanzamento dei cantieri, arriva anche il mancato rispetto della normativa europea in fatto di appalti e trasparenza, tanto da spingere la Procura di Milano a mandare sotto inchiesta per corruzione e turbativa d’asta i vertici della Fondazione Milano-Cortina perché avrebbero operato con i criteri di un’organizzazione privata piuttosto che come una realtà pubblica.
La procura di Milano ha aperto un fascicolo sull’ex amministratore delegato Vincenzo Novari, del dirigente Massimiliano Zuco e dell’imprenditore Luca Tomassini delle società Vetrya e Quibyt, società che tra il 2020 e il 2021 si era aggiudicata la gestione «dell’ecosistema digitale» per 1,8 milioni. Poi c’è un altro filone per abuso d’ufficio (senza indagati) sulla “parentopoli” in Fondazione, dove lavorano o hanno lavorato una serie di amici e figli di notabili della politica.
Per evitare che l’inchiesta cammini e finisca con il coinvolgere anche altri personaggi dello sport italiano, della politica e della stessa Fondazione finendo con il bloccarne l’attività, da Palazzo Chigi si è corsi ai ripari emanando un codicillo inserito nel decreto legge “Ricostruzione post- calamtià, protezione civile e grandi eventi”, approvato ieri dal governo Meloni che contiene gli indennizzi per gli alluvionati dell’Emilia Romagna, dove all’articolo 12 si ribadisce che «le attività svolte dalla Fondazione Milano-Cortina 2026 non sono disciplinate da norme di diritto pubblico e che la Fondazione non riveste la qualifica di organismo di diritto pubblico», ma aggiungendo che «la Fondazione opera sul mercato in condizioni di concorrenza e secondo criteri imprenditoriali».
Di fatto la norma approvata in tutta fretta vorrebbe costituire una sorta di salvacondotto, seppur parziale ai vertici della Fondazione che dovrebbe smentire l’assunto dei magistrati secondo cui anche se la Fondazione è privata, ma pur sempre creata dal pubblico, controllata dal pubblico e garantita dal pubblico, essa va trattata come un organismo pubblico così come i suoi amministratori.
A parte il fatto che il codicillo “salva Fondazione” è stato inserito in un decreto che come argomento non ha nulla a che vedere con la materia, andando a scontrarsi con gli strali passati del Quirinale contro i decreti “omnibus”, i vertici della Fondazione nella loro difesa sostengono che a dare questa possibilità sia il decreto legge n.16 dell’11 marzo 2020, che recita testualmente che «la Fondazione Milano Cortina 2026 opera in regime di diritto privato».
Una formulazione che ritenuta non solo vaga, ma anche sbagliata da parte degli inquirenti, che sostengono come la direttiva europea n. 24 del 2014, norma di diritto superiore a quella nazionale e pure di un decreto non ancora convertito in legge, affermi che un ente è da considerarsi pubblico se opera nell’interesse generale e se il finanziamento è pubblico. In questo caso, anche se non sono integralmente pubblici i finanziamenti (perché una parte del bilancio deriva dal Cio, un’altra dagli sponsor e un’altra dagli incassi di biglietti e vendita di gadget), lo sono invece le garanzie prestate dallo Stato italiano per coprire le eventuali, ma più che probabili, perdite.
Ora si vedrà se gli inquirenti accetteranno l’interpretazione autentica della norma fornita dal governo Meloni, cosa che consentirebbe la derubricazione dell’accusa di corruzione e turbativa d’asta in corruzione tra privati, reato ben più difficile da dimostrare, ma intanto l’ennesimo ritardo alla macchina delle Olimpiadi invernali 2026 è stato assestato con il risultato più concreto dallo stoppare l’assegnazione diretta di incarichi milionari come quelli assegnati a Deloitte, a cui la Fondazione ha chiesto di rifare un sito già esistente, per un costo molto elevato, considerato non allineato ai prezzi di mercato dagli inquirenti, oltre ad un contratto per «l’erogazione di servizi tecnologici e cyber security» per circa 176 milioni di dollari, versati a Deloitte Usa da Fondazione Milano-Cortina 2026, che ha pagato anche 74 milioni di euro per consulenze digitali, dal 2022 al 2023, sempre ad alcune società dell’azienda. Appalti su cui gli inquirenti stanno effettuando approfondimenti.
Intanto, i problemi per le Olimpiadi Invernali 2026 proseguono sul fronte dei cantieri. Oltre a quelli già accumulati sul fronte del rifacimento dell’impianto da bob di Cortina per la “modica” spesa di 125 milioni di euro oltre ad Iva, su cui pende il rischio più che probabile che il cantiere non chiuda nei tempi fissati dal Cio, che sta già predisponendo il piano “B” spostando le gare da Cortina alla svizzera St. Moritz, ora si aggiungono anche i trampolini di salto di Predazzo in Trentino. L’impianto della Val di Fiemme, già utilizzato in altri eventi mondiali, è praticamente fermo, nonostante che il raggruppamento d’imprese vincitrice dell’appalto aggiudicato a metà luglio 2023 avesse aperto tempestivamente i cantieri. Il problema è che da luglio 2023 ad oggi, 10 mesi dopo, la Provincia di Trento che è titolare dell’affidamento non ha ancora provveduto a consegnare ufficialmente i lavori, tanto che l’impresa, dopo avere anticipato parte dei costi, ora ha rallentato decisamente i lavori, sia per una questione di liquidità che, soprattutto, per le responsabilità giuridiche di un lavoro da 15 milioni di euro.
Anche se da parte dei vertici della Provincia di Trento si tende a tranquillizzare, da parte del mondo sportivo l’allarme rosso è già scattato perché i trampolini non saranno disponibili per ospitare l’importante test preolimpico in calendario per l’11 e 12 gennaio 2025. Salteranno così le gare di Coppa del Mondo, fondamentali per la verifica funzionale delle strutture, rimandando tutto al Grand Prix 2025.
Anche in Trentino si è assistito all’esplosione dei costi delle Olimpiadi invernali 2026 e dei “mezzucci” già visti a Cortina. Il dossier di candidatura olimpica con cui Milano-Cortina nel 2019 ha vinto la sfida per l’impianto di Predazzo parlava di una spesa minima di 1,5 milioni di euro per adeguamenti ad una struttura realizzata nel 1989 e ristrutturata nel 2012, oltre a 8,8 milioni di euro per lavori temporanei. Peccato che da un totale di 11 milioni la spesa effettiva ad oggi sia lievitata di quattro volte a 44 milioni di euro per via dell’aumento dei costi di costruzione causata dalla spinta speculativa impressa dai Superbonus edili.
Intanto, un impianto che avrebbe dovuto essere riqualificato in soli sei mesi, si è trasformato in un mega appalto diviso in tre lotti per i trampolini, sale atleti, torre dei giudici, sala stampa e tribune per gli spettatori. Il primo lotto (2,6 milioni di euro) prevedeva 19 mesi di lavori, da ottobre 2022 ad aprile 2024. Il secondo (30,2 milioni) 13 mesi, da novembre 2023 a ottobre 2024. Il terzo (8,6 milioni) quattro mesi di lavoro, da agosto a novembre 2024. In totale, 41,5 milioni di euro, però cresciuti in corso d’opera verso i 45 milioni di euro.
Se anche Predazzo è incappata nei ritardi di cantiere, alla fine almeno il nuovo impianto sarà realizzato per le Olimpiadi, mentre crescono di giorno in giorno i dubbi per il rispetto della consegna dell’impianto di Cortina entro marzo 2025 da parte dell’impresa Pizzarotti, data ultima per la pre omologazione da parte della Fis e del Cio.
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