La manovra finanziaria 2025 richiederà «più sacrifici da tutti», perché risanare i conti pubblici come chiede l’Ue con il nuovo patto di salvaguardia è uno sforzo che dovranno sostenere individui, pubblica amministrazione, aziende grandi e piccole. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non ha in mente sconti per nessuno mentre parla, in un’intervista a Bloomberg, della messa a punto del prossimo bilancio. Ma la sola idea di tassare i profitti delle imprese dei settori che più hanno beneficiato di un contesto di mercato favorevole fa scivolare la Borsa di Milano che chiude in deciso calo (-1,5%), la peggiore in Europa.
Il ministro Giorgetti chiarisce subito che nella manovra finanziaria 2025 «non ci sarà la replica della discussione sugli extraprofitti delle banche» che ci fu l’anno scorso e che ha generato un bel buco di bilancio per il mancato gettito. Prima di tutto, extraprofitti «è un termine scorretto». Si deve parlare di «tassare i giusti profitti, gli utili», calcolati «in modo corretto». Irrealistica l’idea di un versamento volontario: «le aziende non fanno beneficienza, i contributi volontari non esistono», spiega Giorgetti ricordando «la stella polare», ovvero l’articolo 53 della Costituzione secondo cui «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva».
Dal Mef, poi, spiegano che nella manovra finanziaria 2025 si chiederà uno sforzo alle imprese più grandi che operano in determinati settori in cui l’utile ha beneficiato di condizioni favorevoli esterne. Sulle modalità del loro contributo è in corso un confronto. «Niente nuove tasse», viene comunque messo in chiaro, anche perché qualche fibrillazione arriva da dentro la maggioranza presa alla sprovvista dall’uscita a mezzo stampa di Giorgetti, tanto che pure il premier Giorgia Meloni è trasecolata, rimanendo quantomeno perplessa per il tempismo del colloquio, che era registrato ma è andato in onda a borse aperte. Oltre che per i modi e anche per il contenuto, specie per quel riferimento a «un concorso per quanto riguarda le entrate» e ai «sacrifici» che saranno richiesti a tutti in manovra.
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I settori coinvolti dallo “sforzo” di aiutare il governo Meloni per risanare la finanza pubblica potrebbero essere banche, assicurazioni, difesa ed energia. Ma «tutti» devono contribuire. Le aziende più piccole, ad esempio, sono già interessate al Concordato e «devono accettare l’idea che devono dichiarare di più» rispetto al passato per mettersi in regola, spiega il ministro.
Quanto alle tasse, queste «non fanno parte del Dna di questo governo, lo abbiamo detto due anni fa e lo ribadiamo, evitiamo boutade», precisa Giorgetti parlando del percorso di risanamento nel quale l’Italia è impegnata con l’Ue. Ad esempio, la crescita per quest’anno – ribadisce Giorgetti – dovrebbe confermarsi all’1%, «o un risultato molto molto prossimo a quel target», come da previsioni, anche se proprio oggi l’Istat lima al ribasso la crescita acquisita per il primo semestre 2024 dallo 0,6 allo 0,4%. E i dati di finanza pubblica – aggiunge – «per quest’anno andranno meglio di come abbiamo comunicato ai mercati e alla Commissione», visto che l’obiettivo di deficit del 4,4% «sembrava irrealistico e ora è stato aggiornato al 3,8%, quasi un unicum nel contesto europeo. Stiamo dimostrando che non soltanto rispettiamo quanto detto, ma facciamo meglio».
E’ per questo che per finanziare la manovra bisognerà reperire risorse da «tutto il sistema Paese», cioè «i privati, le aziende e soprattutto la pubblica amministrazione che sarà chiamata ad essere più performante e produttiva.
E sulla pubblica amministrazione, a partire dai ministeri, Giorgetti deve usare la mannaia, non il bisturi, visto che in un solo anno, da agosto 2023 ad agosto 2024, la spesa generata dai ministeri è passata da 662,8 miliardi di euro a 704,9 miliardi, ben 42 miliardi in più. A distinguersi nei cordoni della borsa caduti c’è proprio il ministero retto da Giorgetti, con il Mef passato da 433,6 a 464,5 miliardi, il ministero dell’Industria (da 10,9 a 14,6 mld) e il Lavoro (da 112,6 a 125,1 mld). Non solo i ministeri, ma anche gli organismi con autonomia di bilancio, come Tar e Consiglio di Stato (da 19,4 a 35,9 milioni di euro) la Corte dei conti (da 47,7 a 96,2 ml) o l’Agenzia per la sicurezza digitale (da 82,9 a ben 214,6 ml) o, ancora il Cnel sempre in predicato di liquidazione (passato da 2,1 a 3,9 ml, complice anche il ripristino delle indennità di carica per i suoi organi al vertice). Ma anche le varie autorità hanno scialato: l’Agcom passa da 161,9 a 171,9 ml, e il Garante della riservatezza personale da 92,5 a 102,5 ml.
Insomma, risparmiare si deve e si può senza ricorrere sempre a mettere le grinfie fiscali nelle tasche di imprese e cittadini. La politica inizi a dare l’esempio senza pavidità di perdere consenso elettorale.
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