Le formazioni del centro sinistra si sono mobilitate per abrogare con un referendum l’appena approvata legge Calderoli per consentire l’attivazione del processo autonomistico per le regioni ordinarie che chiedono l’applicazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, così come modificata nel 2001 da una maggioranza e da un governo di centro sinistra.
A 23 anni di distanza, l’anelito autonomista delle sinistre pare evaporato, così pure quella richiesta di attivare la trattativa tra regioni e stato definita dalla stessa Costituzione da parte della regione Emilia Romagna guidata da un centro Stefano Bonaccini con Paolo Gentiloni capo del governo come contraltare al referendum autogestito delle regioni Lombardia e Veneto a guida Lega.
Comunque sia, il deposito alla Corte di cassazione del quesito referendario che apre alla raccolta delle 500.000 firme tra gli elettori per potere portarli alle urne nel 2025, procedura che potrebbe essere superata dalla richiesta di analogo referendum da parte di cinque consigli regionali, l’eventuale abrogazione della legge Calderoli potrebbe essere un vantaggio per il mondo autonomista, con buona pace dei suoi contrari.
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E’ sotto gli occhi di tutti che la legge Calderoli che disegna il percorso per concedere la maggiore autonomia alle regioni è un percorso in salita, specie nelle 14 su 23 materie delegabili soggette all’attuazione dei Lep, i livelli essenziali di prestazione, a loro volta legati a triplo filo alla disponibilità dei finanziamenti per esercitarli. In un contesto di politiche di bilancio statale in fortissima difficoltà quest’aspetto sarà praticamente insuperabile.
Rimangono le nove materie che non sono soggette ai Lep, che potrebbero essere delegate da subito che riguardano i rapporti internazionali e con l’Unione europea (16 funzioni); commercio con l’estero (21 funzioni); professioni (55 funzioni); protezione civile (41 funzioni); previdenza complementare e integrativa (18 funzioni); coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (8 funzioni); casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale (18 funzioni); enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale (18 funzioni); organizzazione della giustizia di pace (7 funzioni).
Quindi, 9 materie che a loro volta potrebbero comportare il trasferimento di ben 184 funzioni dall’amministrazione centrale a quelle regionali. Anche se il rischio è di creare una babele normativa, specie in quegli ambiti dove le regioni sarebbero proiettate sulla scena internazionale, dove la stessa Italia è già troppo piccola per contare effettivamente e dove più che l’immagine turistica di una regione, sui mercati internazionali pesa l’attrattività generale del marchio “Italia”.
Tornando ad uno scenario referendario di successo con l’abrogazione della legge Calderoli, si tornerebbe al punto di partenza del 2001, mai compiutamente attuato. Sarebbero le singole regioni a chiedere la maggiore autonomia con una trattativa diretta tra la regione e lo stato, che sarebbe chiamato a soddisfare la richiesta, accompagnandola anche dai relativi fondi. Per le regioni Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria questo potrebbe essere un viatico per accelerare, mentre per tutte le altre potrebbero seguire nel tempo, man mano che le condizioni economiche dei loro territori lo permetta.
Più che un male, l’abrogazione della legge Calderoli potrebbe essere un bene per le istanze realmente autonomistiche.
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