L’improvvisazione al potere è foriera di danni e gli effetti non tardano a venire: ne sa qualcosa l’Italia durante la stagione del grillismo al governo o la stessa Unione europea con Ursula von der Leyen e il suo continuo traccheggiamento tra una posizione e l’altra nell’ambito di scelte discutibili come quella sul “Green deal”.
A livello nazionale un centro si analisi e valutazione indipendente come quello della Banca d’Italia, sicuramente non sospettabile di partigianeria, ha valutato l’improvvisazione al potere con gli effetti dei bonus edilizi, quello sulle facciate e quello sulla riqualificazione, varati dal governo Conte 2, quello poggiato su una maggioranza M5s, Pd e partiti minori della sinistra.
«I benefici per il complesso dell’economia in termini di valore aggiunto sono stati più bassi rispetto ai costi sostenuti per le agevolazioni» e la misura «non si ripaga da sola», ma «crea ulteriore debito pubblico per le nuove generazioni» che dovrà essere ripagato in futuro. Lo studio confronta l’andamento della spesa per investimenti residenziali dell’Italia con quello di alcuni paesi europei che non avevano adottato programmi simili e sottolinea come «il moltiplicatore fiscale» della misura, una delle leve sempre propalata dai suoi sostenitori, «sia stato inferiore all’unità»: di fatto si sono sprecati soldi e, per di più, a debito.
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Le due misure, ricordano i ricercatori della Banca d’Italia, hanno comportato una spesa di oltre 170 miliardi nel periodo 2021-23 (circa il 3% del Pil in media d’anno). Si stima che circa un quarto della spesa relativa agli investimenti sussidiati (oltre 45 miliardi) sarebbe stata comunque effettuata anche in assenza degli incentivi.
L’esito dello studio viene commentato dal sottosegretario all’Economia e Finanze e deputato di Fratelli d’Italia, Lucia Albano, in modo netto: «il Superbonus è stato un insuccesso: i costi per lo Stato hanno ampiamente superato i benefici. Con un costo totale pari a 219 miliardi, l’eredità del Superbonus pesa come un macigno sui conti dello Stato attuali e futuri. Mai nella storia repubblicana si era assistito a una misura così onerosa a favore di un numero esiguo di beneficiari, priva di qualsiasi tetto massimo o controllo».
Da Roma a Bruxelles: cambiando scenario non muta e anche in Europa l’improvvisazione al potere sta causando una serie di pericolosi effetti negativi. Il “Green deal” voluto dalla Commissione uscente guidata da Ursula von der Leyen ha voluto imprimere una netta svolta ecologista alla società europea e, non paga, ha deciso a tavolino scenari che non dovrebbero essere territorio operativo della politica, come il vietare al 2035 la vendita di veicoli con motore termico, sostituiti da quelli elettrici a batteria.
Peccato solo che la decisione di von der Leyen, un politico che nel suo palmares ha solo una serie clamorosa di fallimenti da ministro tedesco alla famiglia e alla difesa, sempre protetto da Angela Merkel, sia un colossale autodafé, visto che l’industria automobilistica europea non aveva le competenze necessarie, che la decisione calata dall’alto avrebbe artatamente aperto il mercato dell’auto europeo all’invasione cinese, che nel giro di pochi mesi ha conquistato il 20% dell’immatricolato continentale.
Accortasi del disastro causato dalla decisione su una filiera fondamentale per l’economia e l’occupazione europea, ecco l’improvvisazione al potere dell’Ursula europea tirare fuori dal cilindro non un coniglio, cosa che in sé sarebbe stata incruenta, ma l’arma dei dazi sulle importazioni delle auto elettriche cinesi, gravate da una gabella all’ingresso fino al 48% rispetto all’odierno 10%. Certo, l’Europa non è sola, visto che negli Stati Uniti si è deciso un dazio del 106%, ma in Europa, ad essere penalizzate saranno soprattutto le stesse case continentali che producono modelli in Cina anche per il mercato europeo, che ora saranno gambizzate dai dazi. Se non si cancella subito il divieto al 2035, sarà il pesante rallentamento delle vendite di veicoli nuovi, elettrici e non, con tutto quel che ne consegue.
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