Italia strozzata dai divieti unilaterali austriaci sulla tratta del Brennero o dalle meline francesi che operano al rallentatore per riaprire la linea ferroviaria del Frejus bloccata da una frana in territorio francese o dal tira e molla sulla possibilità di realizzare una seconda canna al traforo stradale del monte Bianco, in procinto dall’essere chiuso per 4 mesi consecutivi all’anno per i prossimi 18 anni.
L’Italia strozzata sul lato della funzionalità delle infrastrutture che legano il paese all’Europa crea serie difficoltà all’economia nazionale, tanto che uno studio di Uniontrasporti, società del sistema camerale italiano, ha valutato in ben 2 miliardi di euro di extracosti a danno del sistema produttivo nazionale accumulati nei 5 anni di divieti unilaterali alla circolazione dei Tir sul corridoio del Brennero nella tratta austriaca.
Mentre la Commissione europea ha finalmente, dopo molti anni di attendismo, riconosciuto i buoni diritti italiani al rispetto dei trattati di libera circolazione delle merci sul territorio comunitario da parte dell’Austria, è di tutt’evidenza come il governo Meloni debba fare ancora di più nei confronti dei governi dei paesi confinanti per assicurare all’Italia canali di comunicazione funzionanti ed efficienti per i propri traffici commerciali, stradali o su ferrovia.
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Soprattutto, è necessario che i paesi confinanti attuino con la dovuta celerità le opere necessarie al ripristino della circolazione ferroviaria (Francia e Svizzera), al potenziamento dei canali (Francia e Austria) e all’accelerazione dei cantieri in corso (Austria sul Brennero) per recuperare gli anni di ritardo.
Perché nulla vale reclamare divieti alla circolazione dei camion come fa il Tirolo austriaco quando non si fa abbastanza per accelerare il cantiere della galleria ferroviaria che ormai ha accumulato quasi 5 anni di ritardi sulla tempistica originaria (passata dal 2027 al 2032) o per trovare soluzioni alternative alla ristrutturazione del viadotto di Lueg sulla tratta tirolese dell’autostrada del Brennero che per ben 3 anni dimezzerà la portata dell’infrastruttura (in Italia un caso analogo al viadotto di Colle Isarco è stato risolto senza alcun aggravio alla circolazione).
Servono fatti per evitare l’Italia strozzata sui canali che la collegano all’Europa i cui extracosti ricadono esclusivamente sulla competitività nazionale sui mercati internazionali.
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