Mentre sta per decollare il nuovo piano di incentivi all’acquisto di nuovi veicoli e, probabilmente, anche di quelli usati più recenti per favorire lo svecchiamento del parco circolante italiano, ecco che arriva il ricatto elettrico di Stellantis che, per bocca del suo amministratore delegato francoportoghese Carlos Tavares, afferma che in mancanza di adeguati sostegni alle vendite di auto elettriche gli stabilimenti italiani sono a rischio di chiusura.
Tavares, in un’intervista ad un’agenzia economica, dice che «l’Italia dovrebbe fare di più per proteggere i suoi posti di lavoro nel settore automobilistico anziché attaccare Stellantis per il fatto che produce meno nel nostro Paese. Si tratta di un capro espiatorio nel tentativo di evitare di assumersi la responsabilità per il fatto che se non si danno sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici, si mettono a rischio gli impianti in l’Italia».
Peccato che il ricatto elettrico di quel Tavares che oggi minaccia chiusure delle fabbriche se non arrivano gli incentivi per l’auto elettriche era anche quel Tavares che solo qualche mese fa diceva che la scelta dell’elettrificazione della mobilità non era una scelta voluta dalla filiera produttiva, che avrebbe scelto la via della neutralità tecnologica, ma solo politica. Ma da qui a lanciare un vero e proprio ricatto elettrico a sostegno di investimenti dell’industria europea dell’auto sull’elettrificazione del prodotto che si stanno rivelando sempre più poco profittevoli e controproducenti anche in vista del più che probabile, anzi, quasi certo addio al divieto voluto dall’ecotalebano Frans Timmermans di divieto di vendita di veicoli nuovi con motore termico al 2035 da parte del nuovo europarlamento, ce ne corre e il governo italiano farebbe bene a non calare le braghe e a tenere la barra dritta contro scenari che servono solo per favorire l’ingresso in grande stile sul mercato italiano ed europeo del prodotto auto cinese, così come sta già accadendo.
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Il governo italiano farebbe meglio a resistere al ricatto elettrico e ad evitare di investire direttamente nel capitale Stellantis, e lasciare l’azienda al suo destino, puntando piuttosto ad attrarre nel Paese nuovi costruttori, così come sarebbe stato bene al tempo delle privatizzazioni prodiane non cedere l’Alfa Romeo – per giunta gratis – alla Fiat di Gianni Agnelli piuttosto che alla Ford – a suon di fruscianti dollaroni – che l’avrebbe rilanciata e tutelato e valorizzato il suo patrimonio tecnologico invece di svilirlo “fiattizzandolo”.
Ne va dimenticato quel detto figlio dello stesso Gianni Agnelli che soleva ricordare come «quel che va bene per la Fiat, va bene per il Paese», grazie al quale da schiatte di politici pavidi ed incapaci ha incassato miliardi (di vecchie lire) di sovvenzioni e contributi, salvo ricambiare i contribuenti con un prodotto spesso non adeguato e licenziando i dipendenti alla prima occasione dopo avere munto ore e ore di cassa integrazione.
Sarebbe anche interessante sapere cosa vuole effettivamente fare il governo Meloni in tema di sostegno al settore automotive, visto che il vicepremier e ministro alle Infrastrutture e trasporti, Matteo Salvini, finalmente ne ha detta una di giusta: «con tutto il dibattito in corso sulle auto “green”, un’auto elettrica, dal pozzo alla ruota, prodotta con combustibili fossili, emette di più di un’auto Diesel. E’ quello che accade in Cina – ha detto in occasione di un convegno all’Europarlamento -. Oggi stiamo pubblicizzando e imponendo un sistema che, dal pozzo alla ruota, emette di più, avvantaggiando una filiera industriale non europea, qualcuno sostiene antieuropea. Bisogna capire che tipo di futuro vogliamo».
Delle due l’una: o il governo italiano vuole scimmiottare quanto fatto all’estero (e che ora viene cancellato dalla Norvegia alla Germania, con il crollo di vendite di auto elettriche in quei paesi) con ingenti incentivi all’auto elettrica che favoriscono solo le importazioni di auto dall’estero e soprattutto di prodotto cinese, o se si vuole rilanciare il prodotto europeo, abolendo il divieto di vendita di motori termici al 2035 passando per valorizzare nuovamente la tecnologia Diesel che è largamente vincente sull’auto elettrica, soprattutto se si investe nella produzione di carburanti sostenibili a basso contenuto di carbonio così come sta già facendo Eni che sta riconvertendo le raffinerie esistenti in bioraffinerie, consentendo così di sfruttare tutta la rete logistica esistente e di essere utilizzabile anche su gran parte del parco auto già circolante, abbattendone grandemente le emissioni.
Più che attendere l’esito della nuova tornata di incentivi all’auto elettrica, che parte fallimentare così come è già stata fallimentare nei precedenti due anni, il ministro all’industria e del “Made in Italy” (che rischia di trasformarsi in “Made in Cina”), Adolfo Urso agisca subito nel trovare un nuovo produttore di veicoli da fare insediare nel Paese, portando quella salvifica concorrenza che gli Agnelli hanno sempre visto come la peste (così come gran parte del sistema imprenditoriale nazionale). Troppo difficile tutelare gli interessi nazionali piuttosto che quelli di potenze estere?
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