Quando l’altro giorno il governo Meloni ha approvato le linee guida del Documento di economia e finanza (Def) 2024 le polemiche hanno riguardato l’assetto asciutto del documento, giustificato dalla mancanza di precise regole di stesura da parte della Commissione europea, rimandando la stesura definitiva a dopo la metà di giugno, ma poco o nulla ha suscitato il dato relativo al debito pubblico, atteso dal 2025 al 2027 ad una vera escalation nelle sue dimensioni, passando dai 2.981 miliardi previsti per il 2024 ai 3.110 miliardi nel 2025, 3.224 miliardi nel 2026 e 3.306 miliardi nel 2027.
Il debito pubblico oltre la soglia dei 3.000 miliardi – rispetto agli odierni 2.860 miliardi, già di suo enorme – supera una barriera psicologica sotto la spinta dell’effetto nefasto dei superbonus legati all’edilizia varati dal governo Conte 2 e non stoppati da quello Draghi, nonostante che già allora si avesse l’evidenza di una bomba atomica innescata pronta ad esplodere con quell’effetto radioattivo per i conti pubblici denunciato dall’attuale ministro all’Economia, Giancarlo Giorgetti.
Unica consolazione nelle previsioni del governo Meloni il fatto che a partire dal 2028, con il venir meno degli effetti di cassa legati ai crediti edilizi e a seguito del possibile miglioramento di bilancio conseguente all’adozione delle nuove regole, il rapporto debito/Pil inizierà a scendere rapidamente.
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Le cifre contenute nel Def e validate dall’Ufficio parlamentare di bilancio sono da far tremare i polsi a qualsiasi governante dotato di minimo buon senso, quel buon senso che è mancato nel Conte 2 della casa ristrutturata “aggratis” e che ha latitato in quello Draghi, che mette in serie difficoltà il governo Meloni nel proseguire sul percorso di taglio degli oneri sociali e fiscali, visto che il taglio del cuneo fiscale e della riforma fiscale sono stati finanziati solo per il 2024, mentre per il 2025 sono in attesa di trovare i 25 miliardi di copertura necessari per la loro proroga.
Secondo il governo, il Def «è stato predisposto nel rispetto delle regole del Patto di Stabilità e Crescita, tenendo comunque conto della transizione in corso verso la nuova governance economica europea», ribadisce nella premessa il ministro Giorgetti. Governance che, nell’attesa delle declinazioni pratiche, ha delle scadenze già fissate: entro il 21 giugno la Commissione europea invierà una “traiettoria di riferimento”, con un profilo temporale di crescita massima della spesa (che comprende anche variazioni discrezionali dal lato delle entrate), in base al quale gli Stati membri dovranno costruire i futuri Piani strutturali nazionali di bilancio a medio termine. I piani andranno poi presentati entro il 20 settembre.
«Il nuovo sistema di regole – osserva Giorgetti – è maggiormente orientato alla sostenibilità del debito pubblico e alla valorizzazione di una programmazione di medio-lungo termine della finanza pubblica e in particolare della spesa primaria (al netto degli interessi) e del relativo monitoraggio. E con il pieno coinvolgimento del Parlamento, il Governo effettuerà sin da ora un’attenta azione di monitoraggio dei conti pubblici».
Per cercare di frenare la falla dei conti pubblici, «il Governo continuerà ad adottare misure volte ad intervenire sul profilo del deficit, migliorandolo ulteriormente anche attraverso una revisione della disciplina dei crediti d’imposta», sottolinea Giorgetti.
Ma nell’immediato rimane il problema di gestire la crescita del debito pubblico che comporta due problemi affatto trascurabili: il primo riguarda il fabbisogno per pagare gli interessi che saranno ancora alti per almeno un paio d’anni complice la ritrosia della Banca centrale europea nel tagliare i tassi dall’attuale, eccessivo 4,5%. Il secondo è relativo al giudizio di affidabilità del debito pubblico agli occhi degli investitori internazionali e delle agenzie di rating perché il livello di merito italiano è a un passo dal livello spazzatura che impedirebbe ai fondi e agli organismi internazionali di investire sui titoli italiani.
Al ministro Giorgetti spetta uno sforzo quasi sovrumano nella gestione equilibrista del bilancio nazionale, tra le esigenze di liberare risorse fresche per accompagnare e consolidare la crescita dell’economia e contenere la corsa del debito e della spesa pubblica. Non lo invidiamo.
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