Il debito italiano risale a 142,4% Pil, mentre nell’Eurozona cala a 90,3%

Eurostat comunica i dati sul secondo trimestre 2023. Preoccupazione per i giudizi delle società di rating, in particolare per quello di Moody’s.

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debito pubblico

Il governo Meloni ha compiuto. Un anno di vita e l’anniversario è celebrato dall’Eurostat con un dato poco lusinghiero, con il debito italiano risalito nel secondo trimestre al 142,4% del Pil, rispetto al 140,9%del primo trimestre 2023.

Un dato che preoccupa, perché nell’Eurozona il debito delle nazioni è sceso al 90,3% rispetto al 90,7% del primo trimestre. L’indebitamento pubblico italiano è al secondo posto tra i 20 dell’Euroarea, dopo la Grecia (166,5% del Pil) ed è più alto di quello della Spagna (111,2% del Pil).

Quanto al 2022, sempre secondo l’Eurostat il debito italiano è stato il più alto nell’Ue, pari all’8% del Pil, rispetto all’8,8% del 2021, mentre nell’Eurozona a 19 è sceso al 3,6%, rispetto al 5,2% del Pil del 2021 (nell’Ue al 3,3% dal 4,7% del Pil).

Dodici i paesi hanno sforato il tetto del 3% del Pil. Nel 2022 il debito pubblico dell’Italia è risultato in calo al 141,7%, rispetto al 147,1% del 2021, secondo in Ue alle spalle della Grecia (172,6%). Nell’Eurozona a 19 è risultato al 91% (dal 94,8% del 2021). Nell’Ue a 27 al all’83,5% (dall’87,4%).

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La situazione debitoria italiana è sotto indagine da parte delle società di rating che hanno iniziato a valutarne la sostenibilità. Standard & Poor’s conferma il rating sull’Italia, che rimane fermo a BBB, e mantiene anche stabilile valutazioni sulle prospettive del Paese. Le previsioni di crescita rallentano, ma questo non cambia il voto sulla capacità del Paese di gestire il proprio debito nei confronti del mercato.

Per Standard & Poor’s, la crescita economica italiana decelererà nel 2023 e nel 2024: il Paese crescerà dello 0,9% quest’anno e dello 0,7% il prossimo, ma poi tornerà all’1,3% nel 2025. Il consolidamento di bilancio sarà più lento del previsto – aggiunge S&P – con un deficit al 5,5% del Pil nel 2023, le cui colpe, per un ulteriore 0,8%, viene attribuito all’effetto degli incentivi per il Superbonus. L’attenzione maggiore viene riservata al debito: «la sua sensibilità alle condizioni del mercato resteranno elevata».

Dopo il giudizio di S&P, la prossima settimana toccherà a Dbrs: l’agenzia canadese, che a maggio aveva promosso la capacità di resistenza dell’economia nazionale, il rating dell’Italia è al livello di “BBB High con trend stabile”: il 27 ottobre svelerà la propria revisione. Il 10 novembre sarà invece la volta di Fitch, che il 12 maggio scorso ha confermato il rating a “BBB con prospettive stabili”.

Più preoccupante è l’appuntamento con il giudizio di Moody’s del 17 novembre, visto che l’agenzia a maggioscorso decise di non aggiornare il rating sull’Italia. L’attuale giudizio classifica l’Italia a “Baa3 con prospettive negative” e a fine aprile la stessa agenzia evidenziava in un report come l’Italia fosse l’unico Paese tra quelli coperti a rischiare «di perdere l”investment grade“». Un eventuale declassamento collocherebbe l’Italia nella categoriajunk” o spazzatura, costringendo i fondi d’investimento ad abbandonare gli investimenti nei titoli del debito italiano con probabile, certo innalzamento del differenziale sugli interessi che già ora veleggia a quota 200 rispetto a quelli tedeschi.

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