Giorgia Meloni alla campagna d’Africa: così si può definire la prima uscita internazionale di rilievo del premier italiano in Algeria con la visita ai vertici dello stato accompagnata da quelli dell’Eni, con cui sono stati rafforzati gli accordi economici in essere tra i due paesi.
Di fatto, Meloni è andata ad iniziare a riempiere quel vuoto geostrategico vergognosamente lasciato dai governi del centro sinistra che hanno virato l’Italia negli ultimi decenni verso l’asse russo, a rimorchio degli interessi tedeschi. Spazio che è stato rapidamente occupato prima dalla Turchia e, poi, dalla Russia.
Ora si tratta di recuperare lo spazio perduto, anche se il rischio è quello di fare rientrare dalla finestra gli interessi russi cacciati dalla porta delle sanzioni del conflitto in Ucraina, visto che la compagnia moscovita Gazprom ha in essere numerosi accordi di collaborazione con la compagnia energetica di stato algerina Sonatrach, che ha quasi superato lo storico ruolo di Eni che in Algeria è stato per decenni il primo operatore energetico.
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Giorgia Meloni alla campagna d’Africa può riaprire l’Algeria alle commesse italiane, visto che il paese ha forte bisogno di ammodernare le proprie infrastrutture, scenario dove sono molto attivi anche i cinesi che spesso operano in “cambio merce”, approfittando delle risorse naturali del paese, a partire dal quelle minerarie.
Comunque, l’Algeria va tenuta strettamente sotto controllo, perché il governo algerino non fa mistero di agire per le spicce quando sono in gioco i suoi interessi strategici, ad iniziare le tensioni con il confinante Marocco per la “Guerra delle sabbie” per la gestione del territorio del Sahara Occidentale, regione desertica, nonché ex-colonia spagnola, controllata dal Marocco ma rivendicata dal Fronte Polisario, un’organizzazione indipendentista sostenuta da Algeri con l’obiettivo di ridurre il peso geografico-politico di Rabat. E la decisione della Spagna di sostenere le rivendicazioni marocchine hanno comportato la cessazione immediata delle forniture energetiche algerine a Madrid.
Non solo: a fine luglio 2022 il presidente dell’Algeria, Abdelmadjid Tebboune, ha detto che il suo paese è interessato a unirsi ai BRICS, il gruppo che riunisce Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, realtà dove il presidente russo Vladimir Putin invitò gli altri membri del gruppo a lavorare per la «formazione di un sistema di relazioni intergovernative veramente multipolare» alternativo alle alleanze occidentali. Tebboune dichiarò che «i BRICS ci interessano perché rappresentano un’alternativa ai centri di potere tradizionali e perché costituiscono una forza economica e politica».
Forse, da un punto di vista strategico e di sicurezza energetica, l’Italia farebbe meglio guardare alla realizzazione del gasdotto che collega il Tap a Cipro e ad Israele, bloccato dale scelte tedesce di Angela Merkel di puntare sul raddoppio del Nord Stream, nelle cui acque territoriali sono stati trovati proprio da Eni giganteschi giacimenti di gas metano. E nonostante le pretese turche di impossessarsi di una parte di spettanza cipriota, queste due realtà sono molto più sicure e allineate all’Europa di quanto possano fare i governi di Algeria, Libia, Egitto e Azerbajian.
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