La competitività manifatturiera europea sta colando a picco nel confronto sempre più sfidante con la Cina, complice la diversità dei fattori produttivi (costo energia, disponibilità materiali, ecc.), organizzativi (in Europa mancano le filiere integrate), burocratici e regolatori (in Europa decisamente più complesse, complice la visione da azzeccagarbugli che domina nelle stanze del governo europeo).
Nel campo delle tecnologie che servono per ridurre l’impronta ambientale l’Europa esce decisamente ammaccata nei confronti con la Cina, come evidenzia uno studio di Enel Foundation sulla competitività manifatturiera, che negli ultimi vent’anni ha avuto una strategia vincente nel creare e supportare le filiere integrate, che oggi le assicurano un notevole vantaggio competitivo, specie sul fattore prezzo, tanto da annoverare ormai il 65% del totale produttivo globale.
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I costi d’investimento in filiere come quella dei pannelli fotovoltaici, delle batterie e delle pompe di calore sono maggiori in Ue (e in Italia) rispetto alla Cina. Il costo d’investimento per la realizzazione di impianti produttivi di pannelli fotovoltaici in Italia è tra 2,2 e 5,6 volte superiore alla Cina. Gli oneri di investimento per realizzare per un nuovo impianto per la produzione di batterie destinate alla mobilità sono superiori del 47% (100 milioni di euro per gigawattora nella Ue contro i 68 milioni di euro per gigawattora in Cina), e il costo di produzione delle batterie nella Ue è superiore del 33% rispetto alla Cina.
Lo stesso vale anche per le spese operative: nella Ue e in Italia, il prezzo dell’energia per l’industria è superioredel 45% rispetto alla Cina e il costo delle emissioni di CO2 è 10 volte quello cinese.
Pesa negativamente sulla competitività manifatturiera a danno dell’Europa anche la burocrazia: i tempi di realizzazione per fare un impianto di pannelli fotovoltaici in Europa servono da 20 a 40 mesi, contro i 12-24 in Cina; 5 anni per realizzare un impianto per le batterie.
Poi, c’è il problema strutturale delle filiere produttive, dove l’Europa brilla per la mancata integrazione verticale. Nella filiera del fotovoltaico, sia nella Ue che in Italia, non vi sono aziende operanti nei segmenti downstream (celle e moduli) che siano attive anche in quelli upstram (polisilicio, lingotti e wafer). Per quanto riguarda le batterie l’estrazione delle materie prime chiave è fortemente concentrata in alcuni Paesi extra-europei (l’Ue importa il 100% del litio e l’81% del cobalto), mentre la capacità di lavorazione è collocata principalmente in Cina (grazie ai massicci investimenti diretti esteri cinesi effettuati negli ultimi 15 anni e indirizzati verso quei Paesi in cui sono ubicate le materie prime critiche).
Infine il problema della tutela ambientale, dove la regolamentazione europea è estremamente vincolante in termini di attività minerarie, tanto che il tempo totale necessario dalla scoperta del giacimento all’effettivaestrazione cresce fino a 15/17 anni rispetto ai 3 mesi della Cina, con quest’ultima che poi si preoccupa pocosulle conseguenze ambientali delle sue attività.
Insomma, serve una completa inversione di tendenza, perché per l’Europa il rischio è di ridursi ad essere mera importatrice dalla Cina e da altre realtà similari di tutti i prodotti a medio e alto contenuto tecnologico, condannando ad un’inevitabile decadimento del livello della qualità di vita e benessere degli europei.
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