Nuovi edifici tutti ad emissioni zero dal 2030, piani nazionali di ristrutturazione e stop ai sussidi per caldaie a combustibili fossili, anche a gas: il Parlamento europeo ha adottato in “articulo mortis” e in via definitiva la direttiva sulle case ecologiche, proposta dalla Commissione a fine 2021 per azzerare le emissioni del parco immobiliare dell’Ue entro il 2050.
L’Aula di Strasburgo ha votato con 370 voti favorevoli, 199 contrari e 46 astenuti l’intesa politica raggiunta con gli Stati a dicembre dopo un complesso negoziato che ne ha ammorbidito i vincoli e garantito flessibilità ai governi per attuarli. Misure più sfumate ed esenzioni che non sono però bastate ai partiti che sostengono il governo Meloni per votare a favore. L’accordo ha raccolto in Aula il consenso della maggioranza degli eurodeputati Popolari, Liberali, Socialisti, Verdi e della Sinistra, nonché di una parte dei non iscritti. Fdi, Lega e Forza Italia hanno bocciato la direttiva rivista, fatta eccezione per Alessandra Mussolini (che però successivamente ha fatto sapere che si è trattato solo di uno sbaglio) e l’altoatesino Svp-Fi Herbert Dorfmann che ha sostenuto l’intesa. Tra le delegazioni italiane a favore della direttiva hanno votato Pd, M5S, Avs e Iv.
L’intesa politica sulle case ecologiche andrà ora sul tavolo degli ambasciatori Ue al Coreper come “punto senza discussione” il 10 aprile per poi approdare sul tavolo del Consiglio Ecofin il 12 aprile, quando si chiuderà l’iter legislativo. Una volta entrate in vigore le norme, l’Italia e gli altri Paesi avranno due anni di tempo per preparare, supervisionati da Bruxelles, piani nazionali di ristrutturazione, ovvero tabelle di marcia per indicare la via che intendono seguire per centrare gli obiettivi.
In Italia, fin dalla sua presentazione, la proposta sulle case ecologiche ha alimentato un’aspra polemica soprattutto per l’assenza di finanziamenti da parte Ue e per gli standard minimi di prestazione energetica. Secondo il relatore dell’Europarlamento, l’irlandese dei Verdi, Ciaran Cuffe, anche in Italia le nuove norme Ue saranno un’opportunità per mobilitare finanziamenti per le ristrutturazioni e per l’occupazione locale.
Secondo l’intesa, almeno il 16% degli edifici pubblici con le peggiori prestazioni rispetto al 2020 andrà ristrutturato entro il 2030 e il 26% entro il 2033. Per le case di abitazione private si applicherà un obiettivo di riduzione del consumo energetico del 16% dal 2030 e del 20-22% entro il 2035. Per garantire flessibilità, gli Stati potranno scegliere di applicare esenzioni per gli edifici storici, agricoli, militari e per quelli utilizzati solo temporaneamente come le seconde case. Gli Stati dovranno installare i pannelli solari solo sui nuovi edifici pubblici e avranno tempo fino al 2040 per dire addio alle caldaie a combustibili fossili.
Di seguito una sintesi dei contenuti della nuova norma sulle case ecologiche che, però, potrebbe essere destinata ad avere vita breve se, come è possibile, dalle elezioni europee del prossimo 9 giugno dovesse uscire un sostanziale cambiamento degli equilibri politici, con un Parlamento meno caratterizzato ideologicamente sull’ambientalismo a prescindere, così come starebbero ad indicare alcuni sondaggi condotti a livello europeo.
* EDIFICI NUOVI – Dovranno essere a emissioni zero a partire dal 2030. Per quelli di proprietà pubblica la scadenza è fissata al 2028.
* RISTRUTTURAZIONI – Abbandonata l’idea delle classi energetiche armonizzate, almeno il 16% – rispetto al 2020 – degli edifici pubblici con le peggiori prestazioni andrà ristrutturato entro il 2030 e il 26% entro il 2033. Per le case di abitazione si applicherà un obiettivo di riduzione del consumo energetico del 16% dal 2030 e del 20-22% entro il 2035. Una promozione che richiede interventi come cappotto termico, sostituzione degli infissi, nuove caldaie a condensazione, pannelli solari. Obiettivo finale: un parco immobiliare a emissioni zero entro il 2050.
* PANNELLI SOLARI – L’obbligo di installarli riguarderà i nuovi edifici pubblici e sarà progressivo, dal 2026 al 2030. Dovranno inoltre essere attuate strategie, politiche e misure nazionali per dotare di impianti solari gli edifici residenziali.
* CALDAIE A GAS – I Paesi avranno tempo fino al 2040 per dire addio alle caldaie a combustibili fossili, mentre dal 2025 saranno aboliti tutti i sussidi per le caldaie autonome a combustibili fossili. Previsti anche incentivi per incoraggiare il passaggio a sistemi di riscaldamento e raffreddamento alimentati da energie rinnovabili.
* FLESSIBILITA’ – Le misure di ristrutturazione adottate dal 2020 saranno conteggiate ai fini dell’obiettivo di efficienza.
* ESENZIONI – I governi potranno esentare gli edifici storici e agricoli, le chiese e i luoghi di culto, gli immobili a uso militare e quelli utilizzati solo temporaneamente.
* INVESTIMENTI – La Commissione europea stima che entro il 2030 saranno necessari 275 miliardi di euro di investimenti annui per la svolta energetica del parco immobiliare, ovvero 152 miliardi di euro di investimenti all’anno in più rispetto alle risorse attuali. Non sono previsti finanziamenti dedicati, ma i Paesi potranno attingere ai fondi Ue per sostenere la svolta: tra questi, il Fondo sociale per il clima, il Recovery fund e i Fondi di sviluppo regionale.
«Il Parlamento Europeo vota la versione “morbida” della direttiva sulle case ecologiche ma sempre costosa per i piccoli proprietari» commenta a caldo l’Uppi, l’Unione dei Piccoli Proprietari Immobiliari, che parla di «una batosta pesante» e chiede «incentivi fiscali degni di questo nome».
L’associazione esprime preoccupazione per «gli obblighi stringenti rimasti per il 43% degli immobili meno efficienti dovrà essere riqualificato dal punto di vista energetico, a fronte di scelte a dir poco ondivaghe di Ue e Governo italiano sugli incentivi fiscali e i contributi per chi dovrà accingersi a fare i lavori, in case che sono soprattutto popolate da piccoli proprietari tutt’altro che ricchi».
«In Italia, secondo i dati Istat, vi sono circa 12 milioni di edifici residenziali – sottolinea l’Uppi -: pertanto, sarà prioritario intervenire su circa 5 milioni di edifici con le prestazioni più scadenti, ognuno dei quali composto da una o più unità immobiliari. Le stime parlano infatti di un costo a livello europeo di 152 miliardi di euro che ogni Paese dovrà trovare senza aiuti comunitari».
Di fatto, per ciascuna unità immobiliare ballano da 30.000 a 50.000 euro di spesa, a seconda della classe energetica e della dimensione, una cifra che moltiplicata per milioni di abitazioni fa impallidire lo shock del Superbonus 110% e similari che hanno comportato 160 miliardi di spesa pubblica per ristrutturare spesso case unifamiliari di lusso, castelli e case vacanze da parte di soggetti che avevano la forza economica di farlo a proprie spese invece di gravare “aggratis” su tutti i contribuenti, pure quelli che una casa in proprietà non ce l’hanno e che vivono in condomini di edilizia pubblica spesso in condizioni precarie.
Secondo Unimpresa, su quasi 12,5 milioni di unità totali, sono oltre 7,6 milioni (61%) gli immobili italiani classificati nelle peggiori classi energetiche, ovvero F e G, quindi rientranti fra quelli che, sulla base delle nuove regole europee sulle case ecologiche, dovranno essere riqualificati, con importanti investimenti a carico di famiglie e imprese con una stima prudenziale di 266,7 miliardi di euro nei prossimi 20 anni circa a carico dei proprietari.
«Questo provvedimento dimostra come l’Unione europea non guardi agli interessi complessivi, ma operi molto frequentemente sulla base di ideologie. Col risultato che alcuni paesi risultano avvantaggiati e altri, come l’Italia, ma anche la Spagna, la Grecia e il Portogallo, arrancano e pagano un conto molto salato – commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara -. I governi hanno due anni di tempo per attuare nei rispettivi ordinamenti questa follia normativa dell’Ue e a giugno si insedierà, dopo le elezioni, il nuovo Parlamento europeo. Esiste lo spazio teorico, dunque, ma va riempito con la volontà politica, di cambiare le regole perché stavolta si corre il rischio di danneggiare seriamente l’economia italiana».
Secondo il Centro studi di Unimpresa, il patrimonio immobiliare italiano, per buona parte costruito prima della Seconda guerra mondiale, è composto di 12.498.596 unità: di queste solo 137.814 (l’1,1%) del totale appartiene alla classe energetica migliore cioè la A4; nella classe A3 rientrano 138.103 immobili (1,1%), mentre nella A2 sono 176.377 (1,4%) e nella A1 225.671 (1,8%). Altri 287.994 (2,3%) sono in classe B, 522.901 (4,2%) sono nella categoria C. Si passa poi alla fascia D che contempla 1.269.155 (10,2%) abitazioni, mentre in classe E ne figurano 2.118.057 (16,9%).
La maggior parte degli immobili italiani appartiene alle categorie peggiori, ovvero F e G, rispettivamente con 3.157.942 (25,3%) unità e con 4.464.582 (35,7%) unità. In sostanza, 7.622.524 abitazioni pari al 61% del totale cioè tre su cinque.
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