Più che cercare speculazioni lungo la filiera produttiva e distributiva che paiono non esserci, il carissimo carburante è solo una questione di politica, delle politiche di tutti i governi della Repubblica dalla sua fondazione ad oggi, che nel ritocco sempre al rialzo delle accise hanno trovato un rimedio facile, sicuro e di relativa contestazione politica e sociale per foraggiare le spese della politica, spesso clientelari e foriere di spreco.
E’ politica anche la decisione – sbagliata – di non prorogare il taglio di 25 centesimi (che con l’Iva arriva a 30 centesimi) al litro delle accise gravanti su benzina e gasolio perché, secondo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, «il governo non può permettersi la spesa di un miliardo al mese per mantenere lo sconto». Sarebbe da chiedere a Fazzolari se il mancato mantenimento dello sconto costi al sistema Paese ben più del miliardo al mese che il provvedimento costava. Anche perché esso comporta un incremento dell’inflazione – già oltre la doppia cifra – dello 0,9% come ha calcolato il Centro consumatori.
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Non solo: un Paese come l’Italia che punta, giustamente, a valorizzare il turismo come seconda o terza gamba dell’economia nazionale, il costo dei carburanti è strategico nel decidere il successo o meno di una destinazione a livello europeo, anche in consideranzione che il 70% circa degli ingressi turistici in Italia avviene attraverso l’uso dell’automobile. E quando paesi confinanti, dall’Austria alla Slovenia alla stessa Francia, hanno costi di benzina e gasolio più bassi – in alcuni casi di molto come in Slovenia – è facile spostare la destinazione da un paese all’altro, anche se il Belpaese è unico, non solo per il carissimo carburante tra i più alti dell’Unione europea.
Intanto, sul piano del carissimo carburante si muovono anche le Camere di commercio del Nord Italia che chiedono al governo un cambio di passo e la conferma senza scadenza del taglio delle accise deciso dal governo Draghi.
Per le unioni regionali delle Camere di commercio di Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto – sintetizzate nell’acronimo “Pi.Lo.V.E-R”. – per superare l’emergenza energetica nell’area del Paese che vale il 50% del Pil ed il 50% dell’occupazione è fondamentale intervenire sul costo dell’energia.
Il documento, spiega una nota degli enti camerali, raccoglie «azioni concrete, pratiche, alcune adottabili immediatamente o in tempi rapidi» ed è stato trasmesso «a stakeholder e decisori per dialogare con i diversi livelli istituzionali e politici nella definizione delle politiche energetiche». Perchè, viene sottolineato, «la situazione che il mondo imprenditoriale sta vivendo alla luce dei notevoli rincari dei costi energetici è sempre più difficile, specie per le micro-imprese, i piccoli operatori economici e del commercio, che rischiano di abbassare le serrande per sempre».
Tra le richieste indirizzate all’esecutivo Meloni dalle Unioni regionali “Pi.Lo.V.E-R”, «ci sono in primis il consolidamento del taglio di alcune accise, l’introduzione di un super–ammortamento del 150% per gli interventi di efficientamento energetico e per impianti di autoproduzione da fonti rinnovabili o, in alternativa, l’attivazione di un credito d’imposta del 50% per le imprese per favorire la copertura dei capannoni industriali con sistemi fotovoltaici e, in generale, misure di incentivazione e sostegno alle rinnovabili e all’autoproduzione». Inoltre, prosegue la richestadelle Camere, «accanto alle istanze al Governo c’è anche l’impegno delle Unioni per azioni di sensibilizzazione, formazione, incentivazione in tecnologie e soluzioni per il risparmio energetico, la costituzione di comunità energetiche, l’autoconsumo e l’impiego di fonti rinnovabili, a favore, in primis, delle imprese, ma estendibili anche ai cittadini e alla pubblica amministrazione».
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