Il governo Meloni è giunto alla sua seconda prova di coerenza con le promesse elettorali e anche per il Superbonus 110%, così come per il taglio delle accise sui carburanti, si è predicato bene ma agito in base alla situazione contingente, facendo spallucce dinanzi alle manovre a “U”.
In questa puntata de il “Bianco & Nero”, condotto dall’esperto in comunicazione e analisi politica, Gianfranco Merlin, e dal direttore della Web Tv e de “il NordEst Quotidiano”, Stefano Elena, si tenta di allineare tutte le problematiche esistenti e future sul cammino prossimo del governo Meloni.
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Nel caso del Superbonus 110% la frenata era doverosa, anche perché il provvedimento votato dal governo Conte II (con una maggioranza di M5s, Pd, Liberi & Uguali, Italia Viva) ha sfondato ogni più tetra previsione di spesa pubblica, passando dai 30 miliardi della previsioni agli attuali 110 miliardi e una tendenza a finire a quota 120 miliardi. Con un aggravio, secondo i dati forniti dal ministro delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, di «un onere a carico di ogni italiano dalla culla alla tomba di 2.000 euro».
Decisamente troppo, anche perché pure questa volta per il partito che voleva abolire la povertà e la casta – salvo diventare esso stesso casta al 100% – si è trasformato di fatto nella forza politica che più di tutte ha sostenuto i consumi dei ricchi: dalle sovvenzioni per l’acquisto delle carissime auto elettriche ai bonus per ristrutturare le ville “prima casa”, seconde e terze per chi poteva tranquillamente permettersi la spesa, lasciando con il cerino in mano chi abita nei condomini di periferia, con in più il concreto rischio di perdere la casa se non si ha liquidità sufficiente a restituire al Fisco le anticipazioni già incassate nel caso di lavori incompleti.
Insomma, comunque la si rigiri, la premier Giorgia Meloni si è trovata in mano una serie di patate roventi – bollenti è troppo poco! – con cui deve destreggiarsi e, probabilmente, la conoscenza di uno scenario del genere è forse stato alla base della volontà di Draghi di passare la mano e dei vertici del Pd di fare di tutto per agevolare la vittoria del centro destra dopo decenni di loro governo sgarruppato all’interno di governi mai eletti.
Quanto già visto non è tutto: in agguato c’è il terzo giro, che ruota attorno al reddito di cittadinanza, altra grillinata di successo, esempio sublime del voto di scambio elettorale orchestrato con mirabile capacità da Giuseppi Conte, che rischia pure esso di fare scoppiare i conti pubblici, facendo diventare i circa 20 miliardi già sprecati poca cosa. All’orizzonte ci sono le conseguenze della decisione europea secondo cui l’aver limitato l’erogazione del reddito di cittadinanza solo a chi risiede ininterrottamente in Italia è contro i principi della libera circolazione degli europei e, udite udite, contro i diritti degli immigrati, specie quelli soggetti alla protezione internazionale. Non ci vuole molto ad ipotizzare un’Italia invasa da europei nullafacenti e terzomondiali pronti a incassare la mancetta grillina e a bighellonare per strade e piazze, con pochi italiani che lavorano, pagano le tasse per alimentare le mancette clientelari di Conte & C.
Infine, per il governo Meloni la rogna delle concessioni dei balneari che Lega Salvini premier e Forza Italia vogliono fortissimamente prorogare con il decreto “Milleproroghe” in corso di conversione al Senato – e la Camera non toccherà palla limitandosi a ratificare il tutto con una fiducia – che cozza frontalmente contro una sentenza del Consiglio di Stato e contro la Commissione europea che ha già messo sotto sanzione la Spagna per un provvedimento analogo. Si dice che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sia parecchio agitato per un modo di procedere totalmente contrario alle attese e al rispetto delle sentenze e del diritto europeo.
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