La Festa dell’albero che si celebra il 21 novembre deve essere un’occasione per impegni concreti e fattibili, non per promesse roboanti che, ad un banale esame matematico, non reggono la realtà, come conferma Alberto Patruno, direttore generale di Asso.Impre.Di.A, l’associazione delle imprese per al difesa e la tutela ambientale associata a Confindustria, secondo cui «sono auspicabili meno “greenwashing” e annunci di facciata, ma una programmazione reale e coordinata della messa a dimora degli alberi necessari da qui al 2030 e al 2050, coinvolgendo tutti gli attori del settore, vivaisti, agronomi, forestali, imprese green, istituzioni e associazioni».
Il perché, sempre secondo Patruno, «l’albero non è un prodotto industriale, ma deve essere programmato, piantumato e per poter crescere deve avere delle precise caratteristiche e avere un diametro, il che permette alla pianta anche di soddisfare i canoni per assorbire le polveri sottili, anidride carbonica ed altro».
Patruno smonta anche lo scenario di piantare 1.000 miliardi di alberi entro il 2030 per combattere il cambiamento climatico: «si tratta di uno scenario irrealistico e prendo una vecchia, ma attualissima dichiarazione di Francesco Ferrini, professore di Arboricoltura generale e Coltivazioni arboree all’Università di Firenze, che in poche righe spiega come sia impossibile, a partire dallo spazio. “Se prendiamo un tiglio, il cui raggio della chioma raggiunge i 5 metri a maturità, lo spazio occupato dalla chioma è di circa 78 mq. Per mantenerla verde e fotosinteticamente attiva per tutta la sua profondità, bisogna lasciare almeno un metro in più rispetto al raggio della pianta da adulta. L’area che serve è di circa 113 mq: fanno circa 85-90 piante per 10.000 mq, un ettaro. Se per semplicità calcoliamo 100 alberi per ettaro e moltiplichiamo la superficie necessaria a ogni pianta per il numero di alberi si arriva a 100 mln di kmq: 10 volte il Canada, il 70% delle terre emerse”. Improponibile. Ma se anche sgomberassimo tre quarti del Pianeta per fare spazio alle nostre buone intenzioni, ci condannerebbe il tempo: “Piantando 100 mln di alberi a settimana, servirebbero 192 anni. Con rese del 50%, 384 anni!”».
Ecco che invece di sparare letteralmente numeri a vanvera durante la Festa dell’Albero, servirebbe una corretta programmazione sul patrimonio arboreo, che non va improvvisata, ma gestita nel tempo con periodici rinnovi e interventi sull’esistente.
Durante le festività natalizie nelle case tornano gli alberi di Natale e con essi la domanda se sia più sostenibile un albero finto riutilizzabile nel tempo o una pianta vera. Un albero di Natale finto è prodotto da derivati del petrolio e, a fine vita, il suo smaltimento è complesso, essendo composto da diversi materiali difficili da separare. Inoltre, basti pensare che un albero artificiale di plastica di 2 metri ha un’impronta di carbonio pari a circa 40 kg di emissioni di CO2 equivalenti, senza considerare il tempo che gli alberi finti impiegano a degradarsi nelle discariche, che è di oltre 200 anni. L’impronta di carbonio di un albero vero, invece, è di circa 3,5 kg di CO2, un decimo di quella dell’albero finto. Questo dato evidenzia come gli alberi “finti” non siano affatto migliori per la salvaguardia del patrimonio boschivo.
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