Domanda mondiale di latte in aumento, per il mercato prospettive di stabilità

Prezzo del latte italiano sotto pressione per i costi di produzione al rialzo.

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zootecnia di montagna

È un momento complesso per la zootecnia da latte in questa fase, secondo l’analisi di Clal, con il prezzo del latte in Italia sotto pressione per una maggiore produzione, mentre i costi di produzione negli ultimi mesi hanno subito un incremento, trainati in particolare dai rincari di mais e soia. 

Qualche cauto spiraglio di ottimismo potrebbe venire dall’aumento dei consumi dei prodotti lattiero caseari, dalla ripresa dell’export (in particolare dei formaggi) e dalla riapertura di Ho.Re.Ca. e distribuzione alimentare, canali privilegiati per il consumo dei formaggi di qualità italiani. Fondamentale sarà mantenere in equilibrio le consegne di latte, cercando di limitare surplus produttivi, magari attivando una pianificazione comunitaria finalizzata a contenere la quantità e a orientare la materia prima verso produzioni a maggior valore aggiunto, come i formaggi.

Costi di produzione del latte in aumento

I prezzi degli alimenti zootecnici sono cresciuti sensibilmente fra settembre 2020 e febbraio 2021, con una timida flessione in marzo. La soia è passata da una media in settembre di 374 €/ton a 558 €/ton a marzo (+49,2%, quotazioni medie mensili della Camera di commercio di Bologna). Il granoturco è aumentato da 177 €/ton dello scorso settembre a 230 €/ton di media raggiunti a metà febbraio (+29,9%). Il valore dell’alimento simulato (al 70% di mais nazionale e al 30% di soia) secondo le elaborazioni di Clal si aggira sui 30 euro per 100 chilogrammi di latte, contro un prezzo del latte alla stalla in Lombardia di 36,37 euro/100 kg.

Stock mondiali di mais e soia in diminuzione

Secondo le previsioni dell’Usda per l’annata 2020-2021, gli stock mondiali di mais e soia sono in contrazione, rispettivamente del 5,1% e del 12,8%, mentre i consumi salgono dell’1,5% per il mais e del 4,1% per la soia. Altro elemento da considerare è rappresentato dalle imponenti importazioni cinesi. Nei primi due mesi del 2021, rileva Clal, Pechino ha acquistato oltre 11 milioni di tonnellate di cereali (+270,25% rispetto allo stesso periodo del 2020). Tale trend, molto sostenuto, dovrebbe verosimilmente mantenere i listini di cereali e semi oleosi su valori elevati, con conseguenti costi alla stalla sensibilmente più alti rispetto allo scorso anno.

Le produzioni di latte

A livello mondiale le produzioni di latte dei principali paesi esportatori (Argentina, Australia, Bielorussia, Cile, Nuova Zelanda, Ucraina, Unione europea, Usa, Uruguay) sono cresciute dello 0,4%, con gli Stati Uniti primi in quantità (16.763.000 tonnellate prodotte, +0,5% rispetto a gennaio-febbraio 2020) davanti all’Ue (13.029.000 tonnellate).

Dopo un aumento delle consegne di latte dell’1,6% nel 2020, l’Unione europea all’inizio di quest’anno ha rallentato, segnando un rallentamento dello -0,7% a gennaio 2021 rispetto allo stesso periodo del 2020. In particolare, il calo produttivo dei principali Paesi comunitari contribuisce a evitare il tracollo dei prezzi. La Germania, primo paese produttore dell’Ue, ha tagliato le consegne dell’1,7%, la Francia del 3,4%, i Paesi Bassi del 3,3% fra gennaio e febbraio su base tendenziale. In controtendenza, fra i grandi produttori, la Polonia: +0,5% a gennaio 2021 su base tendenziale e +2,3% nel 2020 rispetto al 2019 e l’Italia.

Domanda mondiale in aumento

Nel 2020, la domanda mondiale di prodotti lattiero caseari è complessivamente cresciuta del 2%, nonostante le difficoltà legate al Covid (logistica, maggiori costi di trasporto, Ho.Re.Ca. e Food service in molti paesi chiusi per confinamento da pandemia). A spingere il commercio mondiale è stata prevalentemente la risposta sostenuta dal Sud-Est Asiatico e dalla Cina, che ha guidato la locomotiva con un +23,4% delle importazioni fra dicembre 2020 e febbraio 2021 su base tendenziale).

Il mercato cinese si è dimostrato interessante anche per l’Unione europea, che nel periodo gennaio-dicembre 2020 ha messo a segno complessivamente un aumento dell’export del 3,5% sul 2019, grazie in particolare alle vendite di formaggi freschi (+17,5%).

Anche l’Italia ha visto crescere le vendite all’estero di formaggi: +1,7%, dopo una cavalcata del 7,5% nel 2019. Mozzarella fresca, grana padano e parmigiano reggiano, formaggi freschi e formaggi grattugiati sono risultate essere le principali categorie vendute in volume. Molto positivo, in particolare, l’export lo scorso dicembre di Grana Padano e Parmigiano Reggiano (hanno un unico codice doganale) con un +12,7% su base tendenziale.

Una domanda che appare in questa fase nuovamente dinamica dovrebbe sostenere il prezzo del latte o, in subordine, mantenerlo stabile evitando che il mercato collassi.

Ridurre le produzioni e privilegiare la specializzazione in Ue

I maggiori costi della razione alimentare con una conseguente minore marginalità economica, la progressiva chiusura di stalle, le difficoltà legate al ricambio generazionale e, non ultima, la “questione ambientale” sollevata dai cittadini stanno rallentando – almeno in questa fase – la spinta produttiva in Europa.

Quale dovrebbe essere l’orientamento in Ue? Secondo Clal, sarebbe consigliabile valutare sia sinergie con imprese di altri Paesi europei sia provvedimenti europei in difesa delle produzioni di latte, tesi cioè a mettere in equilibrio l’offerta con la domanda. Contemporaneamente, l’Unione europea dovrebbe privilegiare le produzioni di formaggi e prodotti ad alto valore aggiunto.

I numeri in Italia

L’Italia, nel 2020, la produzione di latte ha superato i 12,65 milioni di tonnellate, con un’accelerazione del 4,4% sul 2019 e ritmi produttivi accelerati anche nel 2021: +3% a gennaio su base tendenziale. A livello geografico, il blocco delle regioni del Nord produce l’84% del latte italiano e la Lombardia, da sola, rappresenta il 44% dei volumi nazionali.

L’incremento delle produzioni ha portato l’autosufficienza al 90,9% e, secondo gli analisti di Clal, ai ritmi produttivi attuali l’Italia potrebbe raggiungere l’autosufficienza il prossimo anno. Con quali conseguenze? Presumibilmente, l’Italia ridurrebbe le importazioni di materia prima dall’estero. È possibile constatare, analizzando i dati di Clal, che negli ultimi dieci anni l’import di latte sfuso in cisterna (il cosiddetto “latte spot”) si è ridotto di un milione di tonnellate negli ultimi 10 anni. Solo nel 2020 la flessione è stata di 300.000 tonnellate e, se i prezzi del latte estero dovessero mantenersi su valori più elevati rispetto a quello italiano, sarebbe in effetti anti-economico acquistarlo.

Il Grana Padano.

Osservatorio privilegiato dell’andamento dei mercati è il Consorzio di tutela del Grana Padano, primo formaggio Dop per quantità prodotta al mondo, regolata nelle proprie dinamiche a un piano produttivo specifico. 

«Grazie alla programmazione stabilita dai consorziati – spiega il direttore generale del Consorzio di tutela del Grana Padano, Stefano Berni – l’incremento produttivo a livello italiano non influisce direttamente sull’attività consortile». Tuttavia, diventa fondamentale approcciarsi al sistema lattiero caseario italiano senza trascurare due elementi chiave, secondo Berni. «Prima di tutto bisogna individuare i motivi per i quali il latte alla stalla è storicamente pagato di più rispetto al latte prodotto in Olanda, Francia o Germania – afferma –. Sono essenzialmente due. Il primo è che l’Italia è un Paese deficitario nella produzione di latte rispetto al fabbisogno: i costi di trasporto legati all’import, individuabili in circa 4 centesimi al litro, fanno sì che la produzione estera sia meno competitiva. Secondo fattore da considerare è il fatto che buona parte del latte italiano è destinato a prodotti di pregio come i formaggi Dop o latte alta qualità».

Essenziale non inficiare tale equilibrio. «Se trasformiamo troppo latte in prodotti Dop o, comunque, ad elevato valore aggiunto – prosegue Berni – si rischia di non assicurare più il vantaggio competitivo che ha il prezzo del latte destinato a Grana Padano, come dimostrano anche i dividendi delle cooperative del 2020, tutti al di sopra dei 43 centesimi per litro di latte conferito».

L’allerta deriva anche dall’avvicinarsi all’autosufficienza nella produzione di latte italiano, uno degli elementi che ha permesso di remunerare di più il latte alla stalla “Made in Italy”. Come evitare che il settore italiano perda competitività? «Si potrebbe seguire l’esempio attuato in Francia dalla cooperativa Sodial – specifica Berni – attuando una diversificazione della remunerazione del prezzo del latte, con una quota A per la materia prima trasformata a Grana Padano e una quota B per il latte conferito dall’allevatore, ma che non verrebbe immesso nel circuito della Dop, ma sarebbe impiegato per commodity lattiere. In questo modo non porremmo alcun vincolo alle stalle, ma faremmo in modo di salvaguardare le produzioni a più elevato valore aggiunto, così da tutelare l’intero sistema produttivo italiano».

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