Caro premier Mario Draghi, “Lo Schiacciasassi” non ci sta a vedere prorogato quell’idiozia del reddito di cittadinanza che, parimenti a “Quota 100” sono figli legittimi della peggiore politica clientelare ed assistenzialista. Serve, e subito, un deciso cambio di rotta, portando a termine, così come accadrà per “Quota 100”, l’esperienza fallimentare del reddito di cittadinanza, costata un botto di soldi pubblici senza ridurre la disoccupazione – che è aumentata – e senza cancellare la povertà – aumentata anche quella, specie tra coloro che una volta costituivano la piccola media borghesia dei commerci, arti e professioni. Gli unici a crescere con il reddito di cittadinanza sono state le truffe e la difficoltà a trovare lavoratori.
Caro Draghi, è possibile che la sua sia stata una parola uscita involontariamente, poco ponderata: ci può anche stare. Ma di qui a fare bordone ai pentastellati che parlano già di potenziare e di ampliare il reddito di cittadinanza, no grazie! Ci viene da dire che questa volta ha ragione l’altro Matteo, quello rottamatore, il Renzi, che vuole indire un referendum per abrogarlo.
Il suo governo si è aperto all’insegna delle grandi aspettative, ad iniziare da quella dell’uscita dalla palude dell’indecisionismo e del clientelarismo, settori dove i governi Conte I & II sono stati insigni testimoni. All’inizio del suo mandato, ci è piaciuto il suo decisionismo, il suo mettere al muro l’irresponsabilità dei partiti e dei loro leader di latta, buoni solo a tuonare sui social, a cambiare senza tanti tira e molla dirigenti palesemente incapaci. Ma questa sua uscita sulla condivisione del reddito di cittadinanza fa girare le ruote de “Lo Schiacciasassi”.
Se l’Italia vuole davvero accompagnare l’uscita dalla crisi ed imboccare una crescita duratura – e le condizioni ci sono tutte – si deve iniziare dal tagliare senza riguardi le sacche dell’inefficienza e dell’assistenzialismo che costano caro ai contribuenti, qualcosa come 40 miliardi di euro all’anno e li metta sulla riforma del fisco e sull’estensione delle tutele a chi il lavoro lo ha perso, ad iniziare dalle centinaia di migliaia di Partite Iva che ne sono prive e, causa scellerate decisioni del governo Conte II, sono state spesso costrette al fallimento.
Se si tagliano le tasse a chi le tasse le produce in prima persona – oggi sono circa 5,5 milioni di contribuenti, pari al 13,24% del totale contribuenti, che pagano ben il 58.86% del totale delle tasse a fronte di un 78,80% che ne paga solo il 28.36% – la competitività del Paese non può che salire e con essa l’occupazione. Occupazione che si crea facilitando le condizioni per produrla, cancellando provvedimenti come il reddito di cittadinanza che sono uno sprone per non lavorare e per arrotondare in nero la mancetta statale.
Infine, la crescita del Paese non va disgiunta dalla competitività generale: l’Italia e l’Europa non possono accettare di vedere messa fuori gioco la propria manifattura con l’applicazione di tassazioni ambientali spropositate – ad iniziare da quella sulla CO2 di 50 dollarialla tonnellata – a fonte di una responsabilità all’inquinamento molto contenuta (9% del totale), quando chi è responsabile di oltre il 40%delle emissioni climalteranti come la Cina ne pagherà solo 8 dollari la tonnellata. Servono politiche responsabili che siano in grado di coniugare la tutela dell’ambiente con lo sviluppo economico se non si vuole condannare l’Italia e l’Europa ad una decrescita che non sembra affatto felice.
Ecco come la graffiante matita di Domenico la Cava interpreta la situazione.
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