L’energia è sempre più usata come un’arma di pressione sugli assetti geopolitici e la Russia non si fa scrupoli per utilizzare la sua rete di gasdotti con cui rifornisce l’Europa di gas metano per mettere alle strette un’Unione europea sempre più debole, imbelle, balbettante, dove l’attuale presidente della Commissione, Ursula von der Layen, si dimostra decisamente al di sotto delle necessità.
A far rialzare la tensione tra Russia ed Europa ci sono le lentezze burocratiche con cui la Germania sta provvedendo all’autorizzazione all’esercizio del Nord Stream 2, il raddoppio del gasdotto che collega direttamentela Russia con la Germania senza passare attraverso l’Ucraina e la Bielorussia, territori decisamente instabili. A rallentare le cose ci si è messa l’Agenzia federale delle reti tedesca, la quale afferma di non potere provvedere al rilascio delle autorizzazioni all’entrata in funzione del nuovo gasdotto in quanto l’operatore indipendente non è soggetto al diritto tedesco, essendo il proprietario, Nord Stream 2 Ag, una società di diritto svizzero domiciliata a Zug. Sarà necessario che l’azienda svizzera – come ha già annunciato di voler fare – provveda a realizzare una sussidiaria tedesca cui conferire materialmente la proprietà del nuovo gasdotto, tale da consentire poi all’Agenzia federale delle reti di potere rilasciare le opportune autorizzazioni all’esercizio.
Ma ad ingarbugliare la situazione ci si mette anche la strategia fortemente ambientalista, secondo alcuni al limite della realizzabilità, della Commissione europea di azzerare la quota dell’8% di emissioni climalteranti europee entro il 2035, scenario che ha portato nel giro di due anni alla triplicazione dei diritti di emissione della CO2 che veleggiano attorno ad una quotazione di 70 euro alla tonnellata, un valore che ha fatto lievitare a dismisura il costo dell’energia (e del gas metano) e a mettere in fortissime difficoltà larghi settori del comparto manifatturiero europeo, a tutto favore di quei paesi, largamente inquinatori come Cina (27% di quota di emissioni globali) e India (14% quota di emissioni globali), che ben si guardano dal rincorrere l’Europa, fissando la loro data di azzeramento delle emissioni inquinanti rispettivamente al 2050 e 2070. Non solo: mentre l’industria europea paga 70 euro/tonn. le proprie emissioniinquinanti, quella cinese le paga solo 8 dollari/tonn. La sperequazione è evidente e gli effetti sulla concorrenzialità della manifattura europea, già iniziati, non tarderanno a mostrarsi in tutti i loro negativi effetti.
Ecco come la graffiante matita di Domenico La Cava interpreta la situazione.
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