Allevamenti, grande preoccupazione per la revisione della direttiva UE sulle emissioni

Tutte le realtà con oltre 150 di capi equivalenti ai bovini considerati inquinanti alla stregua dell’industria pesante. Protesta delle organizzazioni agricole. Bond: «grandemente penalizzate le attività in montagna». 

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L’Unione europea non smette di stupire nel complicare la vita ai cittadini e agli imprenditori europei: ora tocca agli allevamenti che, a partire da realtà con oltre 150 capi di bestiame allevati, saranno sottoposti alla normativa sulle emissioni industriali per la riduzione dell’inquinamento. Di fatto, allevare vacche, maiali, polli, conigli e similia sarà equiparato ad esercitareun’industria pesante con tutte le conseguenze del caso, a partire dal rincaro dei costi.

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La direttiva 2010/75/UE attualmente in vigore, che stabilisce norme per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento da attività industriali, riguarderà anche gli allevamenti avicoli e suinicoli di maggiore dimensione. Attualmente, solo il 5% degli allevamenti rientra nell’applicazione della direttiva; in base alle proposte appena lanciate della Commissione si arriverebbeal 50% e le nuove regole riguarderebbero anche gli allevamenti di bovini con più di 150 capi, inasprendo gli obblighi esistenti con un aumento dei costi amministrativi e burocratici che le aziende non sarebbero in grado di sostenere, specie quelle che si trovano nelle aree marginali, ad iniziare da quelle operative negli ambiti di montagna.

Per il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, «rischiamo un taglio di produzione a livello europeo, aprendo così la strada a maggiori importazioni da Paesi terzi dove le regole sono meno rigorose di quelle valide nell’UE, anche ai fini della sostenibilità ambientale». Giansanti ribadisce anche con fermezza che «Confagricoltura farà il possibile per contrastare la diffusione delle carni sintetiche».

Stessi timori espressi dal presidente di Coldiretti, Ettore Prandini: «la proposta della Commissione europea spinge alla chiusura in Italia migliaia di allevamenti che si trovano già in una situazione drammatica per l’insostenibile aumento di costidi mangimi ed energia provocati dalla guerra in Ucraina. Una decisione che colpisce direttamente gli allevatori ed i consumatori in Italia che dipende già dall’estero per il 16% del latte consumato, il 49% della carne bovina e il 38% di quella di maiale secondo l’analisi del Centro Studi Divulga. Il rischio – precisa Prandini – è quello di colpire la produzione nazionaleed europea per favorire le importazioni da paesi extracomunitari spesso realizzate senza il rispetto degli stessi criteri, sanitari, ambientali e sociali richiesti all’interno dell’Unione Europea». Festeggerebbero soprattutto gli allevatori del continente americano che nelle loro produzioni, la cui importazione è vietata in Europa, utilizzano mangimi Ogm e ampio uso di farmaci.

Come ha evidenziato il CREA, gli allevamenti italiani che già hanno avuto un incremento di costi del 57% e stanno lavorando in perdita, subirebbero un ulteriore aumento dei costi sarebbe il colpo di grazia che le costringerebbe alla chiusura.

Preoccupazione anche da parte del deputato forzista Dario Bond: «la norma sarebbe un’autentica mazzata per gli allevamenti italiani, che già ora hanno una ampia sostenibilità ambientale, soprattutto per quelli attivi nelle zone di montagna, con l’incentivo finale all’abbandono e allo spopolamento delle località già oggi svantaggiate. Spero che il governo italiano abbia la forza sufficiente per evitare e correggere una scelta palesemente sbagliata, così come si è già dimostrata la strategiaFarm to fork”, con la messa a riposo di terre coltivabili che oggi con la crisi ucraina sono strategiche per la produzione di alimenti ad uso umano e zootecnico».

Se Bruxelles punisce la carne autentica, viceversa apre sostanzialmente a quella sintetica, spinta dalle solite multinazionali, facendo finta di non vedere che, alla fine, la carne non carne finisce per essere più impattante.

Da parte sua, il vicepresidente esecutivo della Commissione europea per il Green Deal, Frans Timmermans, sostiene che «entro il 2050 le attività economiche nell’Unione europea non dovrebbero più inquinare l’aria, l’acqua e l’ambiente in generale. Le proposte odierne consentiranno di ridurre notevolmente le emissioni nocive degli impianti industriali e degli allevamenti europei di maggiori dimensioni. Modernizzare il quadro in materia di emissioni industriali in Europa significa offrire certezze riguardo alle norme future, in modo da orientare gli investimenti a lungo termine, migliorare l’indipendenza europea sul fronte dell’energia e delle risorse e incoraggiare l’innovazione».

Gli dà manforte Virginijus Sinkevičius, commissario responsabile per l’Ambiente, gli oceani e la pesca: «grazie alle nuove norme, i grandi impianti industriali e gli allevamenti intensivi potranno contribuire a raggiungere l’obiettivo del Green Deal europeo e a concretizzare l’ambizione dell’inquinamento zero. Solo intervenendo sugli allevamenti si determinerebberobenefici per la salute delle persone quantificabili in almeno 5,5 miliardi di euro l’anno. Questi sviluppi creeranno anche più posti di lavoro, come già dimostrato in passato dal settore UE dell’ecoinnovazione. Le misure che affrontano in modo proattivo le crisi dell’inquinamento, del clima e della biodiversità possono rendere la nostra economia più efficiente e resiliente». Sinkevičius parla di minori costi per la salute, ma glissa sui maggiori costi che tutto il sistema dell’allevamento sarebbe chiamato a sostenere.

Le nuove norme si applicherebbero gradualmente agli allevamenti di bovini, suini e pollame di maggiori dimensioni che rappresentano circa il 13% delle aziende agricole europee e che, secondo quanto riportato nel comunicato stampa della Commissione, sono un totale di 185.000 e collettivamente sono ritenute responsabili del 60% delle emissioni di ammoniaca e del 43% di metano prodotte dal bestiame dell’UE.

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