Secondo il dossier di Legambiente “Acque in rete – Criticità e opportunità per migliorarne la gestione in Italia”, il Belpaese è primo in Europa per prelievi di acqua a uso potabile (oltre 9 miliardi di metri cubi all’anno, 25 milioni di metri cubi pari a 419 litri per abitante al giorno), anche se l’Italia è nel complesso una realtà a stress idrico medio-alto secondo l’Oms, poiché utilizza il 30-35% delle sue risorse idriche rinnovabili, con un incremento del 6% ogni 10 anni, oltre ad essere da anni sotto contravvenzione dell’Unione Europea per le fogne non depurate. Abbastanza per interessare la curiosità de “Lo Schiacciasassi“.
Una tendenza che, unita a urbanizzazione, inquinamento ed effetti dei cambiamenti climatici, come le sempre più frequenti e persistenti siccità, mette a dura prova l’approvvigionamento idrico della Penisola. Ad aggravare la situazione ci sono l’annoso problema delle perdite lungo la rete, i nodi irrisolti sulle fogne non depurate e le alte percentuali di “non classificato” in merito alla qualità e alla quantità dei corpi idrici – specie al Sud – che denunciano una grave mancanza di conoscenze di base sullo stato delle acque.
Guardando alle perdite di rete, i dati raccontano come l’acqua che viene prelevata non venga trattata adeguatamente e in modo sostenibile, ma spesso dispersa e sprecata, con un gap tra acqua immessa nelle reti di distribuzione e acqua effettivamente erogata che va da una media del 26% nei capoluoghi del Nord al 34% in quelli del Centro Italia, fino al 46% nei capoluoghi del Mezzogiorno. Nel complesso, fino al 78% dell’acqua distribuita nelle città italiane può andare “sprecata” tramite le perdite nella rete di distribuzione, come nel caso di Frosinone. Tra le città metropolitane, dal 2014 al 2019 soltanto Bologna, Firenze, Milano e Torino si sono mantenute sotto il dato medio nazionale del 37%. C’è ancora molto da fare in città come Bari, Cagliari e Roma, costantemente rimaste al di sopra della media.
Nel 2019, i consumi medi pro-capite di acqua nelle città capoluogo italiane non sono scesi sotto i 100 litri per abitante al giorno: tra quelle meno virtuose troviamo Milano e Reggio Calabria (entrambe oltre i 170 litri), mentre i consumi più contenuti si registrano a Palermo e Napoli (rispettivamente 111 e 114 litri).
Preoccupano le elevate percentuali dei “non classificato”. Risultano sconosciuti (per il quinquennio 2010-2015) lo stato chimico del 17% e quello quantitativo del 25% delle acque sotterranee, lo stato chimico del 18% dei fiumi e del 42% dei laghi italiani. Non ancora monitorato e classificato lo stato ecologico del 16% dei fiumi e del 41% dei laghi. Questa scarsità di informazioni di base si registra soprattutto al Sud, dove alcune regioni presentano più della metà dei corpi idrici in stato sconosciuto (raggiungendo in alcuni casi, come Calabria e Basilicata, anche il 100%).
Su dati del ministero dell’Ambiente elaborati da Legambiente e aggiornati al maggio 2020, si registrano ancora 939 agglomerati non conformi alle direttive europee, per quasi 30 milioni di italiani interessati dai relativi disagi. Tre agglomerati su quattro in infrazione per le fogne non depurate si trovano nel Mezzogiorno o nelle Isole, e generano oltre il 60% detto gli scarichi fognari non depurati. E finora le multe, relative solo alla prima condanna riguardante ancora 69 agglomerati, sono costate all’Italia oltre 77 milioni di euro.
Nel settore idrico si deve «colmare il gap di investimenti settore», e si tratta di una «urgenza segnalata dai dati sulla dispersione idrica» ha affermato Enrico Giovannini, ministro per le Infrastrutture e la mobilità sostenibili. «I dati ARERA indicano un fenomeno di dispersione che supera in media il 40%. C’è un NordOvest virtuoso in termini relativi ma con una dispersione che raggiunge comunque il 42%, un Centro al 50,7% e un Sud e Isole al 52,35%: Sono dati che non sono accettabili e tollerabili conoscendo i rischi che il nostro Paese fronteggia anche in termini di rischi climatici».
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