Il 24 aprile si ricorda un terribile evento della storia che non molti conoscono: il genocidio del popolo armeno che ha sterminato un milione e mezzo di persone durante il terribile esodo voluto dalle autorità ottomane nel 1915.
In occasione del 106° anniversario di quei tragici fatti, arriva l’atteso riconoscimento da parte degli Stati Uniti, dichiarazione che riesce ancora ad accendere gli animi e le reazioni da parte della Turchia.
Il presidente americano Joe Biden ha diffuso la sua dichiarazione nel giorno dell’inizio dell’esodo e del massacro della comunità armena da Costantinopoli, l’attuale Istanbul, con il leader turco Recep Tayyip Erdogan che ha immediatamente reagito denunciando la «politicizzazione» della questione interna «da parte di terzi». La Turchia, ha sottolineato il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, «non ha niente da imparare da nessuno sulla propria storia».
Decisamente diversa la reazione del primo ministro armeno, Nikol Pachinian, che ha accolto con favore una «misura molto forte nei confronti della giustizia e della verità storica». Ora il genocidio del popolo armeno è riconosciuto da oltre venti Paesi (l’Italia lo ha fatto il 10 aprile 2019) e numerosi storici, ma continua ad essere contestato dalla Turchia.
«Il popolo americano onora tutti gli armeni che morirono nel genocidio iniziato esattamente 106 anni fa – ha detto Biden -. Affermiamo la storia. Non lo facciamo per incolpare qualcuno, ma per essere certi che quanto accaduto allora non si ripeta mai più. Onoriamo le vittime del Meds Yeghern in modo che gli orrori di ciò che è accaduto non siano dimenticati. Ricordiamo in modo da rimanere sempre vigili contro l’influenza corrosiva dell’odio in tutte le sue forme».
Nonostante il riconoscimento da parte americana del genocidio turco, Biden si sforza di mantenere ad un livelo accettabile i rapporti con la Turchia, alleato della Nato, con l’Alleanza atlantica che nel prossimo giugno farà da sfondo al primo incontro tra Biden ed Erdogan.
Anche se Biden ha auspicato di costruire «una relazione bilaterale costruttiva» attraverso la «gestione efficace dei disaccordi», la reazione turca non sembra aver recepito questo tentativo con Ankara che continua a ritenere che i morti armeni del 1915 sono caduti assieme a molti altri di tutti i campi in lotta, durante una guerra civile i cui effetti mortali furono amplificati dalla carestia, chiedendo la creazione di una commissione storica internazionale per definire i fatti.
A Biden va dato atto della prova di coraggio: nonostante le forti pressioni della potente comunità armena negli Usa, nessun presidente americano aveva finora osato rischiare di compromettere le relazioni con il potente alleato nella Nato. Pure Trump, nonostante il voto favorvole del Congresso nel 2019, non aveva mai utilizzato la parola genocidio, definendo quella del 1915 «una delle peggiori atrocità di massa del Ventesimo secolo».
La gran parte del genocidio del popolo armeno si compì nel giro di un anno, tra il 1915 e il 1916, ma i massacri continuarono anche per gran parte degli anni Venti. Dei 2,5 milioni di armeni che si trovavano nell’impero ottomano all’inizio del secolo il 90% fu ucciso o deportato fuori dall’impero. Si stima che alla fine del genocidio circa un milione di armeni morì per mano degli ottomani. Alcune centinaia di migliaia di donne e bambini furono costretti a convertirsi all’Islam e furono adottati da famiglie turche, mentre moltissimi altri armeni fuggirono, creando una diaspora che ancora oggi è forte in molti paesi del mondo, compresi gli Stati Uniti.
Ecco come la matita graffiante di Domenico La Cava vede la situazione, commentando specialmente il comportamento del governo turco.
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