La pandemia da Coronavirus ha consentito di realizzare un esperimento sociale su larghissima scala che in condizioni ordinarie difficilmente avrebbe potuto essere concretizzato: il telelavoro ha dimostrato di essere una realtà, che porta vantaggi sia ai lavoratori che ai datori.
Enea ha fatto un’indagine sugli effetti del telelavoro nel comparto della pubblica amministrazione, cui hanno aderito 29 realtà che avevano sperimentato il telelavoro già prima dell’emergenza Coronavirus, evidenziando benefici effetti sia sull’ambiente che sull’economia. La mobilità quotidiana su mezzi di trasporto ridotta di circa un’ora e mezza in media a persona: 46 milioni di km evitati e un risparmio di 4 milioni di euro di mancato acquisto di carburante; un taglio di emissioni pari a 8.000 tonnellate di CO2, di 1,75 tonnellate di PM10 e 17,9 tonnellate di ossidi di azoto.
I dati analizzati hanno coinvolto oltre 5.500 persone ed è stato anche realizzato un sondaggio al quale ha risposto il 60% del totale coinvolto. Dallo studio emerge che il telelavoro consente di migliorare la qualità stessa del lavoro, conciliare il lavoro con la famiglia, valorizzare le persone e agire per la sostenibilità ambientale urbana. In particolare, l’analisi evidenzia che esistono i presupposti per modifiche di comportamento stabili, su larga scala, in grado di incidere sull’ambiente e anche sulla produttività.
«I risultati assumono un particolare significato in questi giorni in cui circa il 75% dei dipendenti pubblici lavora in modalità telelavoro e confermano che le amministrazioni che lo avevano già adottato sono state più reattive rispetto alle altre», spiega Marina Penna, con Bruna Felici tra le ricercatrici che hanno curato l’indagine. Per Penna, «per uscire da questa emergenza sanitaria meglio di come ci siamo entrati il telelavoro andrà compreso, mantenuto, potenziato e reso più efficace».
La diffusione del telelavoro richiede un cambio di approccio, ad iniziare dalla diffusione dei collegamenti in banda larga, di computer portatili e dal potenziamento dei server centrali di ogni singola realtà, in modo da accentrare la “residenza” degli applicativi e dei documenti senza doverli movimentare da e per il telelavoratore, prevenendo il rischio che qualche dato sensibile venga “captato” lungo il viaggio da qualche malfattore.
Inoltre, sarebbe anche necessario scegliere piattaforme e sistemi informatici più sicuri ed efficienti di quelli in voga nel comparto pubblico e nella maggioranza delle aziende: l’esperienza di Ibm ha evidenziato che il passaggio di decine di migliaia di postazioni di lavoro da un sistema operativo molto diffuso (ma anche noto per le sue “falle”) ad un altro (meno diffuso, ma più sicuro) così come ad un diverso apparato informatico (più costoso all’atto dell’acquisto, ma meno soggetto a malfunzionamenti e attacchi informatici) è possibile migliorare decisamente il rendimento complessivo sia sul lato utente (con più facilità di utilizzo) che su quello produzione (con più sicurezza e meno costi operativi nel tempo). Un’esperienza da tenere in debito conto.
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