I giovani italiani in fuga – non tutti, ma molti – all’estero e lontano dall’Italia non soffrono più di tanto di nostalgia. Il rapporto “I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero” realizzato dalla Fondazione NordEst e presentato al Cnel ha dato voce ai ragazzi che hanno fatto le valigie e hanno lasciato l’Italia.
I numeri sono eloquenti, le ragioni che li hanno spinti a partire e che li convincono a rimanere ancora di più. Negli ultimi 13 anni i giovani italiani in fuga sono stati 550.000 (nella fascia d’età tra i 18 e i 34 anni). Come se fosse sparita la città di Genova o si fossero trasferite oltre confine due città come Bari. Al netto dei rientri, il dato è pari a 377.000. Segno che una volta partiti, in pochi hanno voglia (o ritengono conveniente) di tornare.
«Con questo rapporto e con le risposte che ci hanno dato i giovani abbiamo smentito il luogo comune per cui all’estero i giovani stanno male e prima o poi torneranno – ha detto Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione NordEst -. E’ vero il contrario: chi è andato via sta benissimo e per convincerlo a rientrare ed evitare che tanti altri lo seguano bisognerà lavorare duramente a 360 gradi».
Il problema risiede nell’attrattività del sistema Italia, che evidenzia una situazione è tutt’altro che rosea: in quel campo il paese è ultimo in Europa. Per ogni giovane che arriva in Italia dai Paesi avanzati, ne espatriano otto. L’Italia accoglie solo il 6% dei giovani europei, contro il 34% della Svizzera e il 32% della Spagna.
Il rapporto di Fondazione NordEst segnala che tra gli espatriati la metà di loro è laureata, cosa che contribuisce ad aggravare la perdita per la Nazione che, oltre a quella sociale, deve mettere sul piatto i costi sostenuti per formare i giovani che per tutto il ciclo scolastico, università compresa, investe circa 140.000 euro cadauno. Investimento che viene goduto a costo zero da altri paesi. E i giovani italiani laureati all’estero spesso hanno brillanti carriere, da subito ben pagate, quando in Italia avrebbero un lungo avvio di contratti precari e sottopagati.
L’attuale emigrazione riguarda in particolare le ragioni del Nord, cioè la punta avanzata dell’economia nazionale. Il 35% dei giovani settentrionali si dichiara pronto ad andare all’estero. Tra le motivazioni principali non spicca l’idea di ottenere un salario migliore (ragione indicata solo dal 10% degli intervistati). Prevalgono invece le migliori opportunità di lavoro (25%), le ragioni di studio e formazione (19,2%), ma anche la ricerca di una migliore qualità della vita (17,1%).
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