Rader: “rendere più deducibili, a fronte di un reddito ‘femminile’ le spese per colf, baby-sitter ed assistenza”
In Italia la partecipazione femminile al mercato del lavoro rimane tra le più basse d’Europa. Il tasso d’inattività delle donne nel Belpaese è del 48,5%, a fronte della media UE del 35,1%. Peggio dell’Italia fa soltanto Malta con un tasso del 55,9%. Il dato emerge dall’Osservatorio sull’imprenditoria femminile curato dall’Ufficio studi di Confartigianato che conferma la forte dicotomia tra Nord e Sud. Per l’occupazione femminile le cose peggiorano, e di molto, nelle regioni del Mezzogiorno mentre i territori più virtuosi si confermano la provincia di Bolzano, con il tasso di occupazione femminile più alto, pari al 63%; al secondo posto l’Emilia-Romagna con il 60,9% e terza nella classifica delle regioni più virtuose la Valle d’Aosta con il 60,8%.
Come vanno le cose in Veneto? Uno spaccato particolarmente interessante, per cogliere non soltanto la presenza, ma la rilevanza delle donne nell’ambito professionale veneto, può certamente essere rappresentato dal mondo artigiano, una realtà produttiva che è uno dei “pilastri” del sistema economico regionale. Complessivamente le donne occupate in regione sono oltre 897.000 (tasso di occupazione al 55,7%, che pone il Veneto all’undicesimo posto), di queste ben 144.846 svolgono un lavoro “indipendente” (il 16,1% dell’occupazione femminile). Una percentuale leggermente più bassa di quella nazionale che si colloca al 18,4%.
Un altro dato interessante può essere indubbiamente quello riferibile alle donne che ricoprono una carica nelle imprese artigiane venete, cioè che sono o titolari o socie o che occupano altri ruoli di “governo” aziendale. In Veneto le donne con cariche sono oltre 38.000, cioè il 20% di tutti coloro che hanno cariche (19,8 in Italia). Un numero che pone il Veneto all’ottavo posto tra le regioni italiane (la prima è l’Abruzzo, seguito da Umbria e Marche, soltanto dodicesima la Lombardia).
Per quanto riguarda poi le cariche ricoperte, il 42,3% delle donne che hanno responsabilità è titolare: una percentuale più bassa rispetto alla media nazionale (49,3%) e che pone il Veneto soltanto al diciottesimo posto nella classifica nazionale. L’altra metà di cariche al femminile (41,8%) è rappresentata da socie; in questo caso, rispetto al 26,8 della media italiana, il Veneto si colloca al secondo posto.
“Di fatto – commenta Daniela Rader, presidente regionale DonneImpresa di Confartigianato -, questo dato conferma una situazione nota e consolidata nell’ambito delle imprese artigiane venete: l’asse portante delle aziende è rappresentato dalla famiglia e quindi dalla presenza femminile soprattutto come ‘partecipazione’ (in qualità di socia) alla vita aziendale”.
Vi sono poi donne che gestiscono da sole la propria impresa individuale: nel Veneto sono oltre 16.000, una cifra che pone al regione al quarto posto nella classifica nazionale “di categoria”.
Di queste titolari, il 26,5% opera nel settore manifatturiero, come il tessile, ad esempio, soprattutto nell’ambito dei servizi alla persona (57,4%).
A tenere distanti le donne dal mondo del lavoro vi è soprattutto il basso investimento in quei servizi di welfare che dovrebbero favorire la conciliazione tra attività professionali e cura della famiglia. Anche in questo caso, l’Italia è nelle posizioni peggiori della classifica europea.
Secondo l’Ufficio studi di Confartigianato, la spesa pubblica per la famiglia è stata nel 2011 pari a 20,7 miliardi, pari al 4,6% dei 449,9 miliardi di spesa totale per la protezione sociale. Nel periodo 2007-2011 la spesa per la famiglia è la componente delle prestazioni di welfare che è cresciuta meno: l’incremento è stato di 1,3 miliardi, pari al + 6,9%, vale a dire la metà rispetto all’aumento della spesa complessiva per il welfare in Italia.
“Pur in un contesto così problematico per il lavoro femminile – sottolinea Rader -, l’Italia mantiene comunque la leadership in Europa per il maggior numero di imprenditrici e lavoratrici autonome: 1.565.400, pari al 16,4% delle donne occupate, rispetto alla media europea del 10,3%. In particolare, le imprenditrici artigiane sono 367.895. Per questo, in un momento economico così difficile – conclude Rader – ritengo si debba lavorare, in assenza di risorse, sulla leva fiscale. Ad esempio, riconoscendo una maggiore deducibilità delle spese sostenute e documentate per colf, baby-sitter e assistenza a persone anziane e/o diversamente abili, utilizzando un coefficiente di proporzionalità legato al reddito prodotto dal lavoro femminile. Il risultato sarebbe un vantaggio economico sia per la famiglia, sia per la società intera in quanto si verrebbero a creare nuovi posti di lavoro. In questo modo non si chiederebbe più alla donna di dover rinunciare al proprio lavoro e, molte volte, alla propria realizzazione personale”.