É stata la Commissione Tributaria Provinciale di Venezia, presieduta dal giudice Martino Sartore a riconoscere le ragioni di M.F., architetto di Scorzè assistito dal GBA studio legale e tributario con i commercialisti Marco De Marchis e Guido Gasparini Berlingieri e con l’avvocato Massimiliano Leonetti, contro le pretese del Fisco.
Una vicenda nata in seguito ad alcuni controlli effettuati da parte dell’Agenzia delle Entrate a carico di molti professionisti attivi nel settore dell’edilizia, in particolare nella riqualificazione energetica degli edifici. Nell’ambito di queste verifiche il Fisco aveva incrociato le certificazioni A.P.E. (Attestato di Prestazione Energetica) rilasciate dai professionisti e presenti nell’archivio regionale, con le fatture emesse dagli architetti, geometri e tecnici abilitati al rilascio. Dopo aver raccolte le informazioni il Fisco, utilizzando un metodo presuntivo, aveva stabilito che in assenza di diretta corrispondenza tra le numerose certificazioni A.P.E. sottoscritte e le relative fatture emesse, si fosse in presenza di compensi non dichiarati, c.d. “in nero”.
Il giudice tributario ha accolto la tesi della difesa del tecnico professionista, che hanno evidenziato come la mancanza di corrispondenza diretta tra A.P.E. e fatture nella stessa annata si possa verificare per una molteplicità di casi non considerati dal Fisco. Ad esempio perché il reddito professionale si determina “per cassa”: al momento dell’incasso anziché al momento dello svolgimento della prestazione; oppure per la presenza di insoluti: certificazioni mai pagate al tecnico; senza dimenticare che alcune certificazioni APE possono essere annullate, riemesse successivamente, o essere state contabilizzate assieme in un’unica fatturazione; infine senza contare che sono molteplici i casi di certificazioni rilasciate a titolo gratuito, dato il modico valore con cui vengono promosse tramite i gruppi di acquisto online.
Così il giudice, sulla base del fatto che “gli elementi assunti dall’Ufficio (Fisco n.d.r.) non possono ritenersi idonei a sorreggere l’accertamento dei compensi accertati e non dichiarati dalla parte ricorrente”, ha annullato l’avviso di accertamento e condannato l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite.
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