Illegittime le sanzioni UE sui bovini maschi della Marca

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Con tre ordinanze gemelle pubblicate il 12 dicembre del 2023, la Corte di Cassazione ha accolto le impugnazioni di alcune imprese agricole della Marca Trevigiana sanzionate per l’indebita percezione degli aiuti comunitari relativi al premio speciale bovini maschi.

In primo grado era stato il Tribunale di Treviso a rigettare i ricorsi proposti contro le 16 ordinanze – ingiunzioni con cui l’allora Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali – tramite il proprio “Ispettorato Centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari” – aveva irrogato alle azienda agricole di Pancrazio Mazzoccato, Giovanni Bertollo, Paolo Ferraro, Luigia Salvador, Roberto Battilana, Nives Tonello, Giorgio Rosato, Fiorella Carlesso, Luigino Dametto, Davide Rosin, Carla Bassani, Agnese Zonta, Bruno Pellizzer, Damiano Porcellato – assistite dello studio legale padovano Donà Viscardini, con gli avvocati Wilma Viscardini, Gabriele Donà e Barbara Comparini – sanzioni “amministrative” per un totale complessivo di 1 milione e 550 mila euro.

Le aziende agricole, che da anni esercitavano l’allevamento di bestiame, avevano ottenuto da Agea (Organismo pagatore nazionale) e/o da Avepa (Organismo pagatore regionale) – in relazione alle campagne agrarie dal 2001 al 2004 – il c.d. “premio speciale bovini maschi”, previsto dal reg. (CE) n. 1254/99 del Consiglio (istitutivo dell’organizzazione comune del mercato delle carni bovine e in vigore fino al 1° gennaio 2005), per numero di capi correlati alla superficie foraggera di cui l’allevatore disponeva, secondo un coefficiente di densità stabilito dal medesimo regolamento.

Per ottenere il premio le aziende avevano in parte dichiarato e utilizzato delle superfici foraggere, ottenute attraverso dei contratti di comodato stipulati non con i proprietari, ma con degli intermediari che sembravano averne la disponibilità. Di conseguenza, la percezione dei premi è stata considerata indebita per esposizione di notizie e dati falsi, sul presupposto, errato secondo le aziende agricole, che i contratti di comodato non fossero validi perché non stipulati direttamente con i proprietari dei terreni o all’insaputa degli stessi. Pertanto i terreni oggetto di tali contratti non avrebbero potuto essere considerati nella disponibilità del comodante e dunque delle aziende e che li avevano inseriti nelle domande di contribuzione. Infatti, ai fini del legittimo percepimento del “premio speciale bovini maschi”, la superficie foraggera dichiarata avrebbe potuto essere presa in considerazione solo se fosse stata nella disponibilità del dichiarante in base ad un valido titolo di possesso.

I fatti erano sfociati in due procedimenti (oltre a quello volto al recupero dei premi da parte degli organismi pagatori) nei confronti dei titolari/soci delle aziende agricole: uno di natura amministrativa, diretto all’irrogazione di sanzioni pecuniarie da parte del Ministero, ed uno di natura penale aperto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Treviso.

In particolare, il Ministero aveva emesso nei confronti dei titolari/soci delle aziende ordinanze – ingiunzioni irroganti sanzioni di importo variabile (a seconda dei casi, da euro 28.182 a euro 475.403), sempre pari al premio di volta in volta percepito (conformemente a quanto previsto dall’art. 3 della L. 898/86).

Radicate le cause di opposizione alle ordinanze – ingiunzioni, i giudici di primo grado avevano rigettato i numerosi motivi fatti valere dalle aziende, tra i quali quello secondo cui le sanzioni irrogate dal Ministero erano divenute illegittime per violazione del principio ne bis in idem di cui all’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Il procedimento penale, infatti, era stato nel frattempo archiviato dal giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Treviso, su richiesta del P.M. che aveva considerato insussistenti i presupposti di fatto del reato oggetto della notitia criminis e in ogni caso maturata la prescrizione.

In secondo grado la Corte d’appello di Venezia aveva rigettato la doglianza delle aziende agricole relativa al ne bis in idem, statuendo che un decreto di archiviazione non può essere equiparato ad una sentenza irrevocabile, dato che presuppone la mancanza di un processo che abbia istruito in maniera approfondita il merito dell’accusa e comunque non estingue definitivamente l’azione penale (in presenza di certi presupposti, infatti, sarebbe sempre possibile la riapertura delle indagini); e che le sanzioni amministrative irrogate ai sensi della L. 898/86 non hanno natura sostanzialmente penale.

Una sentenza di rigetto, quella di appello, conclusa comunque con la compensazione delle spese tra le parti, in ragione della notevole complessità interpretativa in materia.

Una decisione che le aziende hanno impugnato davanti alla Suprema Corte che, con le ordinanze 34637, 34657/2023 e 34699 del 2023, ha accolto i gravami presentati dallo studio legale Donà Viscardini, cassando le sentenze d’appello e decidendo le cause nel merito con l’annullamento delle ordinanze – ingiunzioni del Ministero.

In particolare la Cassazione ha evidenziato che: (I) le sanzioni irrogate dal Ministero violavano l’art. 50 della “Carta” in particolare perché tali sanzioni, anche se definite dalla legge come “amministrative”, dovevano considerarsi sostanzialmente penali, perché aventi finalità repressiva, in quanto pari al 100% dei premi percepiti; (II) che anche un decreto di archiviazione adottato all’esito delle indagini preliminari può avere valenza di “sentenza definitiva” quando – come nel caso esaminato – l’archiviazione avvenga dopo un esame del merito dell’ipotesi di reato e sia definitiva in ragione dell’accertamento dell’intervenuta prescrizione (con conseguente impossibilità di riaprire il procedimento penale); (III) anche se la giurisprudenza della Corte di giustizia UE sull’art. 50 della “Carta” consente lo svolgimento di due procedimenti (uno penale e uno “amministrativo”) quando sono tra loro strettamente connessi, la Suprema Corte ha evidenziato che nei casi in esame non c’era stata una connessione cronologica sufficientemente stretta tra i vari procedimenti, dato che le indagini preliminari nell’ambito del procedimento penale erano durate ben 11 anni (dal 2005 al 2016) e le sanzioni irrogate dal Ministero risalivano agli anni 2010-2011. Con le ordinanze la Cassazione ha disposto l’integrale compensazione delle spese di tutti i gradi del giudizio in ragione della “novità della questione”.

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