Oltre due milioni di ricoveri ospedalieri impropri ogni anno, con uno spreco di 6 miliardi di euro. Ospedali intasati e pronto soccorso allo stremo, eppure tre ricoveri su dieci si potrebbero evitare se i medici di famiglia si consultassero con i medici ospedalieri. Ma così non è, e proprio questa mancanza di comunicazione territorio-ospedali sta portando a conseguenze sempre più pesanti.
A fotografare la situazione è la Federazione dei medici internisti ospedalieri (Fadoi) che, in un’indagine su un campione rappresentativo di tutte le regioni, rileva come il consulto tra medici di base e quelli ospedalieri avvenga in appena il 15% dei casi di pazienti ricoverati, mentre in 8 casi su 10 i pazienti arrivano in reparto senza che si sappia nulla di loro. Anche perché il fascicolo sanitario elettronico è aggiornato appena una volta su cinque.
In un ospedale italiano su tre, oltre il 40% dei ricoveri è causato dalla mancata presa in carico del territorio. Appena il 20% dei medici di famiglia aggiorna il fascicolo sanitario elettronico e i consulti con i medici ospedalieri sono rari o inesistenti nell’85% dei casi.
Fadoi punta l’attenzione anche su un altro fenomeno, legato sempre ai ricoveri ospedalieri impropri: sono in media il 20% quelli di natura “sociale” più che sanitaria. Ossia di pazienti che si sarebbero potuti assistere anche a casa se solo esistesse un servizio di assistenza domiciliare o una rete familiare in grado di accudirli.
Ospedali e sanità territoriale, affermano i medici internisti, rappresentano due mondi quasi incomunicabili che finiscono per generare accessi impropri ai pronto soccorso e ricoveri evitabili. Il gap di comunicazione tra i medici del territorio e l’ospedale preoccupa anche il ministro della Salute, Orazio Schillaci, secondo il quale rappresenta un «vulnus per il nostro sistema sanitario che va colmato. Una maggiore capacità di dialogo è, infatti, necessaria sia per migliorare la qualità delle cure ai pazienti sia per allentare la pressione sulle strutture ospedaliere».
Riferendosi ai ricoveri ospedalieri impropri, Schillaci ha quindi avvertito che «se non rafforziamo il territorio, mettiamo a rischio la tenuta e la qualità dell’assistenza ospedaliera del Ssn che ancora oggi, nonostante tante difficoltà, è tra i migliori al mondo». Da qui l’importanza della riforma in atto dell’assistenza territoriale. La presenza nelle Case di comunità di team multidisciplinari, fulcro della riforma sanitaria territoriale finanziata complessivamente con oltre 7 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ha spiegato il ministro, «è la risposta più efficace per i bisogni dei pazienti cronici, che rappresentano i maggiori utenti del Ssn, e per arginare la pressione sugli ospedali».
Pesano anche i ricoveri “sociali”: «non possiamo lasciare che i reparti di medicina interna degli ospedali si trasformino in strutture di assistenza sociosanitaria per pazienti dimissibili ma che non possono andare a casa», afferma il presidente della Federazione delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso), Giovanni Migliore. Rispetto alla riforma della sanità territoriale, con i previsti ospedali e Case di comunità, la Fadoi mostra tuttavia molte perplessità: «l’indagine dimostra numeri alla mano lo scollamento pressoché totale tra ospedale e territorio. Anacronistico in un Paese che invecchiando vede aumentare il numero di pazienti cronici con poli-patologie che richiedono una presa in carico globale – afferma il presidente Fadoi, Francesco Dentali – e purtroppo, come segnalano a larga maggioranza i nostri medici, questa frattura non sarà ricucita dalla riforma della sanità territoriale finanziata con i soldi del Pnrr, che ha disegnato le mura delle nuove strutture, senza definire chi ci lavora e come si rapportino con l’ospedale».
Il punto è che «servono regole chiare e stabilite a livello nazionale che leghino tutta la filiera del Ssn. Oggi invece – conclude Dario Manfellotto, presidente della Fondazione Fadoi – i percorsi di cura sono frammentati e spesso si formano dei colli di bottiglia che intasano le strutture».
Tornando alle cifre, in numeri assoluti sono 2.250.000 i ricoveri evitabili l’anno, pari a uno spreco di circa 6 miliardi, calcolando che il costo medio di un ricovero è di circa 3.000 euro.
Quanto ai ricoveri “sociali”, questi rappresentano il 20% del totale nel 31,7% delle strutture interpellate, mentre la quota supera il 30% nel 15,4% degli ospedali e il 40% nel 4,7% degli stessi, per una media di un ricovero su 5. Nel 34,1% delle strutture si sarebbero invece potuti evitare un buon 30% dei ricoveri con una migliore presa in carico dei pazienti nel territorio. Percentuale di ricoveri impropri che è di più del 40% nel 33,7% dei nosocomi, mentre in altre realtà ospedaliere la quota di ricoveri evitabili oscilla fra il 10 e il 20%. Solo l’1,8% non segnala ricoveri impropri per carenze della sanità territoriale.
Variegate le azioni che a giudizio dei medici internisti ospedalieri avrebbero potuto evitare ai pazienti di soggiornare in reparto. Per il 32,6% servirebbe un maggior rapporto tra ospedale e territorio, per un altro 32,4% una maggiore offerta di assistenza domiciliare integrata, per il 21% basterebbero le nuove case e ospedali di comunità e per il 13,9% sarebbe necessaria una apertura più continuativa degli studi dei medici di famiglia.
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