Nel mondo continua la caccia all’origine dell’epidemia da Coronavirus per capire come è nato il virus, come è mutato e come è stato veicolato all’uomo.
In Veneto, dopo aver sottoposto a tampone per due volte i 3.300 abitanti, i ricercatori dell’Università di Padova(Dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione e il Dipartimento di Medicina animale, produzioni e salute) e dell’Istituto Zooprofilattico delle Venezie analizzeranno i gatti di Vo’ Euganeo, primo focolaio italiano del coronavirus Covid-19 (ora a contagio zero) insieme a Codogno, effettuando test sierologico sul sangue dei felini domestici per cercare gli anticorpi alla malattia. Un esame su base volontaria, grazie all’aiuto dei padroni.
«Faremo prelievi del sangue per comprendere se, in che modo e in quale misura, i felini di questo comune, un modello di studio unico, si siano infettati – spiega Massimo Castagnaro, ordinario di Patologia generale veterinaria e coordinatore dell’equipe -. Prendiamo in esame i gatti perché in tema di animali domestici ed esposizione al virus c’è un unico studio, condotto a Wuhan dai veterinari della città cinese focolaio originario del Covid-19, che lo hanno riscontrato nel 10%-15%dei felini appartenenti a soggetti contagiati. E quindi, cercando gli anticorpi nel loro sangue, potremo capire se questi animali possano contrarre il virus e come rispondano».
Castagnaro sottolinea che i ricercatori sanno «che la malattia passa da uomo a uomo, ma vogliono inquadrare il potenziale ruolo del gatto. La nostra ipotesi è che non giochi un ruolo importante nella diffusione del Coronavirus, ma che possa invece infettarsi lui, stando vicino a un umano colpito dalla malattia».
Da parte sua, lo Zooprofilattico mira a capire se i gatti domestici possano essere infettati dai propri umani, puntando ad individuare i felini infetti all’interno dei nuclei familiari. Il progetto non si limita al comune padovano: «iniziamo da Vo’ Euganeo perché rappresenta una situazione interessante dal punto di vista scientifico – puntualizza Castagnaro -. Ma poi ci allargheremo a tutto il Veneto, iniziando dalle aree a maggiore circolazione virale, dai focolai più importanti, come Padova, Verona e Treviso».
Se in Veneto si studiano i gatti, in Canada i protagonisti di un’altra ricerca sono i cani randagi. Secondo i ricercatori dell’Università di Ottawa guidati da Xuhua Xia, dopo il serpente e il pangolino, i cani randagi potrebbero essere il possibile animale intermedio da cui il virus SarsCov2 ha fatto il salto all’uomo, causando l’epidemia. I virus isolati nei serpenti e pangolini sono troppo diversi dal SarsCov2. Secondo il gruppo di Xia, «l’antenato del nuovo Coronavirus e del suo parente più stretto, quello del pipistrello, ha infettato l’intestino dei cani, dove è cambiato rapidamente in modo da fare il salto nella specie umana».
Quando i virus invadono un ospite, il loro genoma spesso riesce ad evadere il suo sistema immunitario cambiando. Gli esseri umani e i mammiferi hanno una proteina sentinella chiave contro i virus, chiamata Zap, capace di fermarli, che attacca alcune molecole dell’Rna virale – dette Cpg -, che funzionano da “segnaposto” per il sistema immunitario, che riesce così a trovare e distruggere il virus. Inoltre, «l‘abitudine dei cani di leccarsi l’ano e i genitali potrebbe aver facilitato la trasmissione del virus dal sistema digestivo a quello respiratorio», rileva Xia e da qui all’uomo.
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