Attorno alla richiesta di maggiore autonomia da parte delle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna girano troppe false ed infondate notizie, molte delle quali propalate ad arte anche dagli ambienti governativi, rilanciate anche da alcuni quotidiani nazionali.
Proprio per restituire fondatezza e corrispondenza al vero a molte imprecisioni, il prof. Andrea Giovanardi, docente di diritto tributario all’Università di Trento e membro della delegazione trattante della Regione del Veneto nel negoziatosull’autonomia differenziata ex art. 116 Cost., interviene con una serie di puntualizzazioni.
«Non corrisponde al vero che il Dipartimento per gli Affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri ha “smontato” la riforma – afferma Giovanardi -. Prova ne sia che l’unico rilievo che viene mosso alla norma finanziaria è quello attinente alla clausola della spesa media nazionale pro capite, che, nell’ipotesi contenuta nella proposta delle Regioni, dovrebbe trovare applicazione, in sostituzione della spesa storica, dopo tre anni dal varo della riforma nel caso in cui non si addivenga alla determinazione dei fabbisogni standard. La struttura della disposizione, che, in linea con l’art. 119 Cost., si fonda sull’utilizzo delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibili al territorio al fine di coprire la spesa (storica) relativa alle competenze oggetto di trasferimento, non ha subito alcun tipo di critica dai tecnici del Dipartimento».
Secondo Giovanardi «non corrisponde al vero che l’eventuale trasferimento di risorse connesso all’applicazione della spesa media risulterebbe ingiustificato, dato che vale proprio il contrario, nel senso che è ingiustificato che la spesa storica nelle materie trasferite sia più bassa nelle tre regioni richiedenti rispetto a tutte le altre regioni italiane. Il criterio della spesa media costituisce una sorta di pungolo per indurre il Governo a varare i fabbisogni standard, in un contesto in cui il criterio della spesa storica, universalmente riconosciuto iniquo, deve essere superato a tutti i livelli dell’ordinamento in forza di quanto previsto dall’art. 1 della legge n. 42 del 2009, di attuazione dell’art. 119 Cost. Stupisce – sottolinea Giovanardi – poi la non documentata affermazione secondo la quale l’applicazione del criterio della spesa media implicherebbe un aumento della spesa in tutti gli altri territori: si assume in tal modo atteggiamento statico, dando per scontato che si debba continuare a tollerare che, per fornire gli stessi servizi, vi sia chi spende di più in altre parti del paese». Ma ciò significherebbe tagliare le unghie al clientelarismo, tanto caro a molte, troppe formazioni politiche, vecchie e nuove.
In terzo luogo, secondo Giovanardi, «non corrisponde al vero che si vogliono riscrivere le regole partendo dalle richieste delle tre Regioni, senza coinvolgere le altre: questa è una strada obbligata imposta dall’art. 116, co. 3, Cost., il quale prevede che sia la singola Regione a chiedere allo Stato ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia nelle materie individuate dalla stessa norma costituzionale».
Infine la scuola e il suo finanziamento: «si scrive che l’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha rilevato che se la spesa venisse regionalizzata, la Lombardia riceverebbe 4,6 miliardi di euro l’anno, il Veneto 2,3 l’Emilia 2,1. Tutto vero – sottolinea Giovanardi-: si tratta della spesa che attualmente lo Stato spende per la gestione dell’istruzione nei tre territori, abitati da circa 19 milioni di persone. Sfugge come possa essere considerato un “ottimo affare” il riconoscimento alle Regioni, a fronte del trasferimento di funzioni e competenze in materia di istruzione, della stessa spesa che lo Stato sta già oggi sostenendo a fronte delle funzioni trasferite. Non un regalo o un ingiustificato trasferimento, quindi, ma il minimo che deve essere riconosciuto per poter continuare a fornire il servizio ai propri cittadini».
Infine, una notazione: «si osserva nell’articolo che la spesa che verrebbe trasferita alle tre Regioni è pari a circa 9 miliardi di euro, a fronte di 19 milioni di abitanti circa. I restanti 27,5 miliardi restano alle altre Regioni, in cui abitano 41 milioni circa di persone. Il che significa che, all’incirca, a fronte di una popolazione pari ad un terzo di quella italiana, le tre regioni ricevono un quarto della spesa. Ma allora, dove sta l’ingiustizia? Dove abitano gli studenti di serie A e dove gli studenti di serie B?»
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