La Bce, la Banca centrale europea presieduta dalla francese Christine Lagarde, non paga dei disastri finanziari che sta causando all’economia continentale con la sua politica di eccessivi rialzi del costo del denaro per combattere l’inflazione, ora diventa complice pure della Commissione europea nel piano di azzerare le emissioni di CO2 del continente, spinge sulla transizione ecologica supportando anche la carbon tax, da molti ambienti della finanza ritenuta una sorta di nuovo eldorado per ingenti guadagni anche se questo comporterà ulteriori danni alla competitività della manifattura europea.
Secondo la Bce, l’Ue deve cambiare marcia perché le politiche di riduzione e taglio delle emissioni dei gas climalteranti, prima fra tutti la CO2, vanno accelerate o gli obiettivi incardinati nell’agenda verde rischiano di essere mancati. La Bce dedica al tema della transizione ecologica un numero del suo bollettino economico.
Il timore, secondo gli analisti della Banca centrale europea, è che ad ambizioni, intenzioni e proclami non stia corrispondendo una traduzione pratica. Tanto che si rende necessario richiamare l’attenzione dei governi.
«Raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette di gas serra in linea con l’obiettivo dell’Ue richiederàun’accelerazione del ritmo delle riduzioni delle emissioni di carbonio nell’attuale decennio» scrivono i soloni della finanza di Francoforte. Occorre darsi da fare, sul serio e anche di più.
Per poter centrale l’obiettivo intermedio dell’Ue di una riduzione del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990) servirà «un’ulteriore riduzione del 46% delle emissioni di carbonio entro il 2030 rispetto ai livelli del 2021». Quanto fatto finora certamente va nella giusta direzione, ma non è sufficiente.
Nell’imprimere il vero cambio di passo alla transizione ecologica, gli esperti della Bce suggeriscono anche la via considerata migliore da un punto di vista di finanze pubbliche: le tasse. Secondo la Bce ci sono almeno tre opzioni per stimolare la transizione verde. L’imposizione di tasse garantisce introiti per le casse degli Stati, agevolazioni e sgravi fiscali implicano introiti, ma di minore entità. Le sovvenzioni sono invece spesa pubblica, che va a incidere sui conti pubblici di un’eurozona già fortemente colpita dalla crisi pandemica prima e dalle conseguenze della guerra in Ucraina poi.
Dovendo scegliere, a Francoforte si sceglie l’opzione delle tasse: «contrariamente ad altre misure di mitigazione, come i sussidi, una carbon tax genera entrate statali, almeno durante la fase di transizione» si sottolinea nello speciale bollettino. Mentre una tassa sul carbonio genera entrate «fiscali significative fintanto che la base imponibile sul carbonio rimane significativa», invece «altre misure di mitigazione sono neutre dal punto di vista del bilancio (ad esempio la regolamentazione) o possono mettere a dura prova le finanze pubbliche (ad esempio sovvenzionare la tecnologia verde)».
In questo esercizio contabile, dalla Bce si ricorda che in fin dei conti «una politica di prezzi del carbonio più elevati mira principalmente a sostenere la transizione verso un’economia a più basse emissioni di carbonio». Si tratta di uno strumento con una finalità ben precisa, e proprio per questo più a misura di Green Deal europeo e strategie di riduzione delle emissioni. «Garantendo che gli aumenti dei costi di produzione siano concentrati nei settori ad alta intensità di carbonio, un prezzo del carbonio più elevato incentiva il passaggio all’uso di energia rinnovabile e all’adozione di tecnologie di produzione verdi».
Ora spetterà ai governi. Ma non c’è dubbio che a livello l’Ue la via della tassazione ha contraddistinto fin dall’inizio l’operato dell’attuale Commissione. Il progetto di introduzione di una tassa per il carbonio alle frontiere è e resta uno dei cavalli di battaglia di questo esecutivo comunitario. Ma servirà un accordo globaledestinato con tutta probabilità a fallire, perché con le elezioni del nuovo Europarlamento del giugno 2024 anche gli assetti politici che hanno portato a questo scenario sono destinati a cambiare profondamente e, con esso, anche le politiche a senso unico della tutela ambientale che finiscono solo per penalizzare l’Europa quando Cina, India, Stati Uniti – i maggiori inquinatori del pianeta – continuano ad emettere e pure ad aumentarle.
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