Tasse locali: secondo il Centro Studi Enti Locali (Csel) il 50% dei comuni ha elevato al massimo

Indagine su dove sono andati a finire i soldi delle tasse drenati da cittadini ed imprese.

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tasse locali

Un comune su due ha portato le tasse locali ai massimi livelli applicabili. Imposte che cambiano continuamente nome, natura e perimetro applicativo e con le quali si fatica a stare al passo. Il mondo dei tributi locali italiani è stato solo marginalmente toccato dalla pandemia, facendo registrare nel 2020 una flessione del gettito contenuta.

E’ quanto rivela un’analisi per l’Adnkronos condotta dal Centro Studi Enti Locali (Csel) dalla cui emerge che più di metà dei comuni italiani ha elevato quasi al massimo le proprie aliquote Imu e Tasi. Solo il 5% delle amministrazioni locali ha ancora a disposizione un margine di manovra superiore al 30% del gettito potenziale massimo.

Diversa la situazione relativa all’addizionale comunale Irpef, che è invece stata elevata al massimo solo da un ente su 3 e per la quale il 30% delle amministrazioni locali dispone ancora di un margine di manovrabilità superiore al 50% del gettito potenziale massimo del tributo.

Quali sono le tasse locali su cui si fonda il sistema della fiscalità comunale? La fetta più grande, in termini di gettito e vastità della platea di contribuenti, rileva Csel, è costituita dall’Imposta municipale sugli immobili(Imu), il tributo sui servizi indivisibili (Tasi) e la tassa sui rifiuti (Tari). Questi tributi si basano rispettivamente sul possesso di immobili (Imu), erogazione e fruizione dei servizi comunali (Tasi) e copertura costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti (Tari). Ici, Tia, Tarsu, Tares: sono solo alcuni dei nomi dei predecessori di questi tributi. In particolare, la disciplina dell’Imu e la decisione di tassare o meno la prima casa è stata più volte oggetto di modifiche e inversioni di rotta, soprattutto a ridosso delle campagne elettorali dell’ultimo decennio. Non è un mistero che poche tasse risultino indigeste agli italiani come quella che riguardano le case di proprietà; un fenomeno non certo marginale in un Paese come l’Italia in cui – stando ai dati Istat riferiti al 2018 – sono proprietari della loro abitazione ben 7 famiglie su 10 (quasi 19 milioni).

Non tutti i proventi di queste tasse locali finiscono però direttamente nelle casse dei comuni. Una quota dell’Imu(il 22% del gettito ad aliquota standard, pari a 2,8 miliardi di euro) va ad alimentare il “Fondo di solidarietà comunaleistituito nel 2011, anche con finalità perequative, che viene gestito dal Viminale che ne stabilisce poi il riparto tra gli enti. Nel 2021 la dotazione del Fondo è di 6.868,7 milioni di euro, mentre nel 2022 e 2023 sarà pari rispettivamente a 7,1 e 7,2 miliardi. I criteri di riparto di questi denari tra gli enti sono molto complessi e articolati e tengono conto, tra le altre cose, della capacità fiscale e dei fabbisogni standard. Il risultato è che le risorse vengono distribuite in modo disomogeneo, tendenzialmente a vantaggio delle regioni del Centro-Sud nelle quali gli importi pro-capite sono sensibilmente più alti. Basti pensare ai due estremi: Basilicata e Liguria. Mentre ai cittadini lucani sono stati assegnati, nel 2020, a titolo di “Fondo di solidarietà comunale”, 191 euro medi pro-capite, a quelli liguri sono andati mediamente solo 50,8 euro.

Al di là delle già menzionate Imu, Tasi, Tari e Addizionale comunale all’Irpef, l’attuale assetto del governo delle tasse locali comprende l’imposta di soggiorno: figlia del Dlgs. 23 del 2011 (federalismo municipale), l’imposta di soggiorno può essere istituita da comuni capoluogo di provincia, unioni di comuni e comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte. Sono 1.020 gli enti che si sono avvalsi di questa possibilità e 23 quelli che applicano invece il contributo di sbarco, per un gettito complessivo pari a oltre 600 milioni di euro (dati Federalberghi riferiti al 2019). Il gettito di questa gabella, che può arrivare sino a 5 Euro per ogni notte di soggiorno, deve essere impiegato per finanziare gli interventi in materia di turismo (anche a sostegno delle strutture ricettive); interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e interventi sui relativi servizi pubblici locali.

Più recente tra le tasse locali, invece, l’esordio del contributo di sbarco (la norma che lo ha istituito è del 2015). Così come l’imposta di sbarco, è alternativo all’imposta di soggiorno. L’importo massimo è di 2,50 euro, innalzabili fino a 5 in via transitoria, in particolari circostanze. È applicabile ai passeggeri che sbarcano sul territorio di un’isola minore a bordo di vettori che forniscono collegamenti di linea o commerciali e viene riscossa dalle compagnie di navigazione e aeree o dei soggetti che svolgono servizio di trasporto di persone a fini commerciali. I proventi sono anche in questo caso vincolati e devono essere utilizzati per finanziare interventi di raccolta e smaltimento dei rifiuti, interventi di recupero e salvaguardia ambientale, ma anche provvedimenti in materia di turismo, cultura, polizia locale e mobilità nelle isole minori.

L’imposta di scopo, disciplinata dalla Finanziaria 2007, può essere istituita dai comuni allo scopo di finanziare delle opere pubbliche. Questa grava sui proprietari di fabbricati, aree edificabili, terreni agricoli, titolari di diritto di usufrutto, uso, abitazione, superficie, enfiteusi. Inizialmente era stata ammessa la possibilità di finanziare solo parzialmente le opere attraverso questo canale. Poi, nel 2011, questo vincolo è stato rimosso ed è stata elevata da 5 a 10 anni la durata massima della sua applicazione.

Ultimo nato della famiglia delle tasse locali, il canone unico patrimoniale ha fatto il suo esordio il 1° gennaio scorso. Al fine di semplificare la vita dei contribuenti e razionalizzare, rendendola più efficiente, la riscossione di queste entrate, sono state accorpate sotto questa unica voce: la tassa per l’occupazione del suolo pubblico(Tosap), l’imposta comunale sulla pubblicità /diritto sulle pubbliche affissioni, il canone di installazione di mezzi pubblicitari (Cimp) e quello per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Cosap).

Stando a quanto riportato nel bollettino sulle entrate tributarie degli enti territoriali elaborato dal ministero dell’Economia e delle Finanze, nel 2020 addizionale regionale e comunale all’Irpef, Irap (competenza regionale), Imu/Imis e Tasi, rileva il Csel, hanno avuto un gettito complessivo pari a 53,7 miliardi di euro contro il 58,7 del 2019. La flessione non è stata però generalizzata: solo due le voci caratterizzate da un calo (Tasi, -89,4% e Irap, -20,8%), mentre in tutti gli altri casi – a dispetto della congiuntura tutt’altro che favorevole e delle molte esenzioni disposte per tamponare l’effetto crisi pandemica – il saldo è stato positivo.

Per l’addizionale regionale all’Irpef, si osserva un +5,6%, per quella comunale +1,3% e, per quanto riguarda Imu e Imis, il gettito 2020 è stato pari a 16.948 milioni di euro contro i 16.301 del 2019. La flessione delle entrate tributarie è stata, dunque, molto più contenuta del previsto (-6,1%) ed abbondantemente compensata dai trasferimenti derivanti dallo Stato.

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