Statuto dei Contribuenti: da 18 anni è lettera morta. Per cittadini ed imprese maggiori oneri per 21,5 miliardi di euro

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Secondo lo studio di Confesercenti, la continua e metodica violazione delle regole dettate a favore di chi paga le tasse da parte dello Stato ha provocato il maggior prelievo fiscale pari a 1,5 punti del Pil

Lo Statuto dei diritti del Contribuente si avvia a compiere 18 anni, ma resta ancora lettera morta. Secondo uno studio di Confesercenti, «dal 2000, anno in cui è stato introdotto, ad oggi, si contano non meno di 600 violazioni delle disposizioni in esso contenute, le ultime delle quali nella legge di bilancio 2018. Una serie infinita di deroghe ed eccezioni che è costata ai contribuenti almeno 21,5 miliardi di euro di maggior prelievo. Quasi un punto e mezzo di Pil: le dimensioni di una legge finanziaria, coperta da un’enorme imposta “occulta”»

Secondo Confesercenti, che ha condotto una ricerca sulle disposizioni in materia tributaria introdotte dal varo dello Statuto dei diritti del contribuente ad oggi, «ad essere disattesi sono stati soprattutto gli articoli 3 e 4 dello Statuto, che sanciscono rispettivamente limiti precisi all’efficacia temporale delle norme, imponendo, tra le altre cose, il divieto di retroattività, e all’utilizzo del decreto legge in materia tributaria». Le più gravi violazioni allo Statuto si confermano, dice la Confesercenti, come testimonia la legge di bilancio 2018, proprio quelle che intaccano il principio della “Efficacia temporale delle norme tributarie” (art. 3).

Mettendo insieme quelle che colpiscono il divieto di retroattività e quelle che alterano i termini fra il 2000 e il 2017, si contano ben 66 violazioni, quasi 4 ogni anno. Il loro impatto, in termini di maggior gettito (a favore dell’Erario) e di maggior prelievo (a carico dei contribuenti), si commisura a oltre 21,5 miliardi. Si tratta di cifre che risultano diversamente distribuite negli anni. Il fenomeno ha riguardato dodici anni (i due terzi del periodo) e in termini di impatto sul gettito si è concentrato particolarmente nel 2012 e 2009 (4,5 e 4 miliardi) e nel 2014 e 2018 (fra i 2 e i 2,5 miliardi). Il maggior numero di “deroghe” si è invece riflesso sui bilanci pubblici del 2006 (10) e del 2009 (6). Le “deroghe” di dimensioni significative (con oltre 100 milioni di maggior prelievo) sono 31; ad esse è riconducibile la quasi totalità (98%) del maggior prelievo prodotto dalle violazioni all’art. 3 dello Statuto.

Confesercenti sottolinea come ai primi due posti compaiano l’aumento dell’aliquota base dell’addizionale regionale Irpef (fra le misure “emergenziali” di fine 2011) e l’appena deciso “differimento” della disciplina Iri. Il restante 2% (circa 500 milioni) risulta distribuito fra le altre 35 deroghe del periodo: contenute quanto a impatto medio (poco più di 10 milioni) ma, non per questo, meno devastanti per i relativamente pochi contribuenti che le hanno subite.

«Lo Statuto diventa maggiorenne – commenta Patrizia De Luise, presidente Confesercenti – ed è ora che si comincino a trattare i contribuenti da adulti. Si punta sempre più, giustamente, sulla lealtà fiscale, ma è difficile non notare che è lo Stato il primo a disattendere gli impegni presi. Invece, dobbiamo tutti contribuire a rendere più equo e leale il fisco, ponendo fine a un modo di legiferare che cozza contro il buon senso, la correttezza e l’affidabilità dei rapporti sociali e che, applicato alla materia tributaria, sembra fatto apposta per disincentivare, piuttosto che favorire, la tanto sbandierata “tax compliance”».

De Luise lancia un appello al prossimo governo: «non permetta che una legge tanto decisiva per migliorare la realtà fiscale del nostro Paese resti in balia delle necessità e delle urgenze del legislatore. Altrimenti, come già abbiamo previsto in passato, la regola continuerà ad essere non lo Statuto del contribuente, ma la sua violazione. Per uscire da questo paradosso, è necessaria un’innovazione forte e con carattere di generalità, diretta ad evitare il rischio che lo Statuto del contribuente continui ad essere ritenuto una legge scritta sulla sabbia, modificabile in qualunque momento da un’altra legge ordinaria. La soluzione, allora, resta una sola: elevare, almeno le disposizioni più rilevanti dello Statuto del contribuente, a rango di legge».