Mentre Monti afferma di intravvederla già, la realtà afferma il contrario, con le multinazionali che giudicano l’Europa come un’area in via d’impoverimento. Intanto, sotto il Governo dei tecnici il debito pubblico è cresciuto
La ripresa dell’economia italiana? A detta di molti, un sogno, almeno nel 2013: più probabile, come ha detto il presidente di Confindustria Squinzi nel 2014. Il presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti rimane quindi solo a vaticinare la lieta novella di cui tutti avrebbero disperato bisogno, mentre la realtà che si prospetta è ben diversa, tanto che le principali multinazionali, quelle che misurano ogni giorno il polso del mercato in modo molto più sensibile di quello dei tecnici al governo, si preparano a gestire l’Europa tutta (mica solo l’Italietta) come un’unica area in via d’impoverimento grazie all’incapacità dei vari governi (e alle loro miopie politiche contingenti: Merkel su tutti) di gestire correttamente il ciclo economico negativo.
Grazie a politiche economiche recessive (aumento indiscriminato della pressione fiscale senza una pari azione di rilancio dell’economia) e alla mancanza di una strategia di medio e lungo termine, chi ha governato negli ultimi due anni s’è ridotto a gestire gli eventi contingenti senza provare ad apportare alcuna innovazione. Le crisi dei vari comparti (acciaio, alluminio, automotive) sono state gestite con strumenti vecchi, quasi non ci si rendesse conto che un’epoca è finita. Continuare ad ostinarsi a tenere aperte miniere improduttive solo per rimandare per qualche mese la loro chiusura o illudersi che si possa produrre in Italia alluminio primario con gli attuali costi esorbitanti dell’energia è degno solo di una classe di politici incapaci. Molto meglio mettere tutti dinanzi alla realtà e, piuttosto di continuare buttare dalla finestra montagne di soldi pubblici nell’illusione di non cancellare posti di lavoro ormai morti e sempolti, dare a chi perde il lavoro un congruo contributo perché possano tentare un’altra via per produrre reddito, chiudendoe definitivamente la partita, reinvestendo le risorse in settori che garantiscano un futuro e un’effettiva competitività sul mercato.
Mentre il Governo tenta di arrivare alla fine del suo mandato alla bell’e meglio (con molti suoi ministri già in campagna elettorale nel tentativo di assicurarsi un futuro politico nella prossima legislatura e, magari, nel prossimo governo), il bilancio di un anno (o quasi: è entrato in carica il 16 novembre scorso) di governo Monti è ampiamente deficitario, specie sotto il profilo di quei numeri tanto cari all’ex professore della Bocconi. A testimoniarlo il supplemento dal Bollettino statistico “Finanza pubblica, fabbisogno e debito” n. 52 del 15 ottobre scorso pubblicato dalla Banca d’Italia, dove si evidenzia in modo ineludibile le cifre della debacle montiana. Il debito pubblico italiano al 31 agosto 2012 era 1.975,63 miliardi di Euro. Negli ultimi dodici mesi del governo Berlusconi (31 ottobre 2010-31 ottobre 2011) il debito è cresciuto del 2,38%. Negli ultimi 12 mesi (31 agosto 2011-31 agosto 2012) la crescita del debito è stata del 3,51%; e nei primi 8 mesi dell’anno in corso (01 gennaio 2012-31 agosto 2012) il debito cresce ancora di più: 3,61%. Evidente che sotto i colpi dell’azione del governo dei tecnici il debito pubblico italiano sia cresciuto in modo decisamente più sensibile che sotto il governo politico, nonostante la situazione della finanza pubblica fosse già ampiamente in una situazione critica. Senza considerare il fatto, che la durata del debito è andata riducendosi: al 31 di ottobre 2011, ultimo bilancio disponibile per il Governo Berlusconi, il debito totale ammontava a 1.916,40 miliardi di euro e di questo il 26,07%, ossia 499,58 miliardi, erano debiti in scadenza nei successivi 12 mesi. Al 31 agosto 2012, con il Governo Monti, il debito è a 1.975,63 miliardi di Euro, ma la quota da pagare a breve, entro i successivi 12 mesi è salita a 546,64 miliardi, il 27,67% di tutto il debito. In solo 8 mesi (dal 31 ottobre 2011 al 31 agosto 2012) di Governo Monti, il debito da pagare a breve ha avuto un rialzo netto del 1,6%. Anche il debito a medio termine, quello in scadenza tra 12 e 60 mesi è in aumento, essendo passato da 554,85 miliardi del 31 ottobre 2011, il 28,95% del totale, a 579,76 miliardi di euro, il 29,35% del totale.
Dati che diventano ancora più negativi se si considera il debito pubblico in relazione al PIL: nel 2008 il debito pubblico italiano era il 106,1% del PIL; nel 2009 sale al 116,4%; nel 2010 s’attesta al 119,2%, nel 2011 arriva al 120,7%. Stime attendibili danno nel 2012 il rapporto debito pubblico/PIL superiore al 125%, massimo assoluto dal 1970, con uno scenario pessimista con punte fino al 130% se qualche paese europeo dovesse non riuscire nei suoi programmi di risanamento, con la necessità di spendere cifre considerevoli per il suo salvataggio (cui dovrebbe partecipare pro quota anche l’Italia com’è già accaduto per la Grecia). Da notare, poi, che il debito aumenta vistosamente pure in presenza di un deciso aumento delle entrate, nonostante il crollo dell’economia, grazie al deciso aumento dell’imposizione fiscale. Stime FMI affermano che nel 2012 il gettito complessivo dello Stato sarà non inferiore a 755 miliardi di euro, ben il 48,3% del PIL.
Il Governo deve avere il coraggio d’invertire la tendenza, iniziando a tagliare con decisione la spesa pubblica. Anche se si dovessero vendere (meglio dire svendere) i “gioielli” di Stato, la situazione non cambierebbe, perché la spesa pubblica continuerebbe a crescere per trascinamento, incrementando conseguentemente la corsa del debito pubblico (e a svendita avvenuta non ci sarebbe più nulla da dare in cambio). Tagliare le spese significa creare gli spazi per tagliare la tassazione e per innescare il volano per la crescita grazie alla maggiore disponibilità di denaro da spendere. Sempre che l’attuale Governo Monti non voglia attaccare sullo stellone italico il cartello “Chiuso per cessata attività”, quando le aziende che ancora oggi s’ostinano a lavorare nel Belpaese avranno spostato all’estero la propria produzione (quelle più piccole inesorabilmente chiuderanno) e il “Made in Italy” sarà sostituto dal “Made in Vattelapesca”.
Ne vale la pena? Il numero di coloro che credono che non ne valga la pena cresce sempre di più.