Pnrr, per l’Ue il ritmo Italia è ottimo rispetto altri Paesi, ma la spesa arranca

Al 30 giugno la spesa italiana del Piano era attestata a 49,5 mld, meno della metà di quanto finora incassato. In poco meno di due anni se ne devono spendere circa 150 mld.

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Marie Donnay, esponente della Commissione europea e direttore presso la Task force per la Ripresa e la Resilienza, nel corso di un convegno in Italia organizzato dall’Anci ha elogiato l’Italia per aver raggiunto «risultati molto incoraggianti sull’attuazione del Pnrr, ha un ottimo ritmo rispetto anche ad altri Stati membri. Finora tutte le richieste di pagamento sono state inviate alla Commissione Europea nei tempi stabiliti dal calendario concordato con il Consiglio europeo».

Donnay ha evidenziato che «questa settimana la Commissione ha approvato la quinta rata e l’Italia ha avanzato la richiesta per la sesta rata, quando già si entra nella fase attuativa della settima rata. Gli ottimi risultati dell’Italia sono il frutto del lavoro di tutte le autorità italiane di tutti gli Enti attuatori, i comuni italiani in primis, basti pensare che la Svezia non ha presentato nemmeno una rata».

Il lavoro dell’Italia sul Pnrr è sotto la lente di ingrandimento dell’Unione europea poiché «con più di 194 miliardi di fondo è il primo beneficiario in Europa del Piano» ha sottolineato la funzionaria europea e il suo successo «è fondamentale per l’Unione per dimostrare che questi progetti condivisi possono funzionare come vera solidarietà tra gli Stati membri, e che si possono trasformare le crisi in risultati concreti».

Se sul livello della gestione delle istruttorie delle domande di erogazione delle varie rate l’Italia ha fatto bene i propri compiti, viceversa sul fronte della spesa effettiva delle risorse erogate dall’Europa le cose vanno decisamente meno bene, come ha dichiarato in cabina di regia del Pnrr il ministro all’Economia, Giancarlo Giorgetti, secondo cui il contatore aggiornato della spesa per i progetti del Pnrr, come indicano i dati dell’Ispettorato generale per il Piano del Mef guidato da Carmine di Nuzzo, è fermo a 49,5 miliardi (appena 3,9 miliardi in più rispetto ai 45,6 miliardi di fine 2023), di cui quasi 30 miliardi legati ai crediti di imposta automatici per i bonus edilizi e gli incentivi alle imprese.

Gli investimenti pubblici veri e propri viaggiano attorno quota 20 miliardi, un livello decisamente deludente che non fa altro che gonfiare ulteriormente il volume di spesa necessaria per completare tutti gli interventi del Piano entro la scadenza fissata del 30 giugno 2026, pena la perdita integrale dei fondi per le opere non concluse. Sempre che la nuova Commissione europea non decida, così come auspicano anche altri paesi, di prorogare la scadenza del Pnrr di almeno un anno.

Comunque sia, la struttura burocratica italiana connessa con la realizzazione di opere pubbliche è decisamente inadeguata alle esigenze di un paese che voglia crescere senza sprecare risorse. E di risorse in questo caso ce ne sono ben 150 miliardi che devono essere spese in poco meno di 24 mesi. Un’operazione a dir poco da far tremare i polsi.

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