Mentre in Europa sale il tasso, nel Belpaese i prezzi ad ottobre calano nuovamente. Servono misure urgenti per riattivare i consumi che a Natale rischiano di rimanere freddi
L’Italia torna in deflazione a ottobre, proprio mentre nell’Eurozona i prezzi al consumo sembrano dare segnali di ripresa. Secondo la stima preliminare dell’Istat, i prezzi al consumo sono rimasti fermi rispetto al mese precedente e sono calati dello 0,1% su base annua, contro il +0,1% fatto registrare a settembre sui dodici mesi. L’andamento dell’inflazione italiana resta anemico, con il tasso acquisito per il 2016 che resta a -0,1%.
Segnali inequivocabili che l’economia nazionale non “gira” nonostante le iniezioni di pubblico denaro con contributi ed elargizioni a destra e manca, puntuale testimonianza che le politiche economiche attuate nel corso degli ultimi due anni dal Governo Renzi hanno lasciato la crescita nazionale al palo, con l’unica eccezione del debito pubblico.
Se in Italia l’economia langue, segnali di ripresa, invece, nell’area dell’euro. Eurostat vede prezzi in salita dello 0,5% annuo a ottobre, contro il +0,4% di settembre. Si tratta tuttavia di livelli, anche in Europa, ancora lontani dall’obiettivo del 2% della Bce di Mario Draghi, che sta tenendo i tassi ai minimi storici e sta acquistando massicciamente titoli di Stato proprio per sostenere l’inflazione. In Italia il pantano della stagnazione dei prezzi sembra più difficile da superare.
«L’Italia non riesce ad uscire alla morsa della deflazione e sprofonda in uno stato comatoso, dove i listini al dettaglio diminuiscono e le vendite continuano a rallentare», spiega il presidente Codacons, Carlo Rienzi. In particolare, a ottobre peggiora la dinamica dei prezzi del cosiddetto “carrello della spesa”. I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona sono fermi su base mensile e registrano una diminuzione dello 0,3% su base annua, contro la variazione nulla di settembre. Se ci considerano tutti i beni ad alta frequenza di acquisto delle famiglie italiane, l’aumento resta risibile e pari allo 0,1% in termini mensili e allo 0,2% in termini annui. L’inflazione piatta sostiene i redditi dei consumatori, ma allo stesso tempo segnala vendite al dettaglio in affanno e rende difficile la gestione del debito pubblico.
«Dopo il valore modestamente positivo registrato a settembre – commenta Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione – l’indice dei prezzi torna nuovamente a scendere, segno che non siamo ancora emersi dalla spirale deflattiva che ha accompagnato il Paese negli ultimi mesi. Occorre fare tutto il possibile per sostenere la domanda interna, vero propulsore di sviluppo per il Paese e unico fattore capace di riportare la dinamica dei prezzi sui livelli fisiologici di un’economia in crescita».
«Un altro inatteso segnale di debolezza del quadro economico è il ritorno sotto zero della variazione dei prezzi. Non ci sono spunti positivi dalle principali aree di spesa soprattutto in alta frequenza d acquisto – afferma una nota di Confcommercio -. Stante queste dinamiche è ormai certo che anche il 2016 si chiuderà, come i due anni precedenti, con un inflazione praticamente nulla e che per un ritorno su valori prossimi o superiori all’1%, in grado di scongiurare i rischi di una preoccupante e perdurante deflazione bisognerà attendere la primavera del 2017».
La flessione annua dell’indice generale dei prezzi, spiega l’Istat, continua a essere determinata dai beni energetici il cui calo si accentua lievemente (-3,6% da -3,4% di settembre), effetto di una più intensa flessione dei prezzi di quelli regolamentati (-6,0%, era -3,8% a settembre) e di un parziale rientro della contrazione dei beni energetici non regolamentati (-0,8%, da -2,7% del mese precedente). Ulteriori contributi al ribasso arrivano dagli andamenti di altre tipologie di prodotto, tra le quali spiccano gli alimentari non lavorati (-0,4%, dal +0,4% di settembre) e i servizi ricreativi, culturali e della cura della persona (azzeramento della crescita, da +0,6% di settembre).
Il rischio è che la stagnazione continui anche per gli ultimi due mesi dell’anno con consumi “freddi”, cosa che spaventa grandemente i commercianti che a dicembre realizzano gran parte del fatturato annuo, con conseguenze negative anche sul gettito fiscale.