Se qualcuno aveva ancora dei dubbi sull’opportunità – e possibilità – di Ursula von der Leyen a succedere a sé stessa anche nella prossima Commissione europea, l’approvazione in corner del regolamento “Net-Zero Industry Act” ne costituisce la pietra tombale sulle ambizioni personali della già bis ministro del governo tedesco e figlioccia prediletta di Angela Merkel che ovunque è passata, dal ministero della famiglia a quello della difesa in Germania, alla guida dell’Europa, ha lasciato dietro di sé solo danni.
Con il varo della nuova “Net-Zero Industry Act”, la Commissione uscente punta a costruire un’industria a zero emissioni per rispondere alla domanda, sempre più alta, di tecnologie pulite. Si tratta della prima legge che vincola il continente a produrre tra i suoi confini il 40% del fabbisogno annuo di materiali “clean-tech” necessari alla transizione ecologica entro il 2030 e a raggiungerne il 15% del valore di mercato su scala globale. Una risposta “Made in Europe” di Bruxelles – sempre più stretta tra la concorrenza sleale cinese e il maxi piano di sussidi statunitensi da 370 miliardi di dollari, l’Inflation Reduction Act (Ira) – che ravviva anche il ruolo del nucleare.
«La domanda» di tecnologie sostenibili «è in crescita in Europa e nel mondo, e ora siamo in grado di soddisfarne una parte maggiore con un’offerta europea», ha sintetizzato il presidente uscente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, promotrice un anno fa del Piano industriale per il “Green Deal”, di cui il “Net-Zero Industry Act” è pilastro centrale. Il regolamento contempla un elenco di tecnologie strategiche che godranno di permessi accelerati e potranno ricevere finanziamenti Ue.
Tra le nuove norme – dopo lunghi mesi di negoziati dominati dal braccio di ferro tra Parigi e Berlino – trova un posto di rilievo anche il rilancio dell’energia nucleare, determinando la vittoria della linea francese. Insieme alle tecnologie per la fissione nucleare e al ciclo del combustibile nucleare, nell’elenco figurano anche i pannelli solari, le pale eoliche a terra e le tecnologie per le energie rinnovabili in mare; batterie e stoccaggio dell’energia, ma anche pompe di calore e idrogeno.
Sul regolamento, per quanto innovativo, pesa tuttavia il nodo delle risorse: il “Net-Zero Industry Act” non dispone di alcun nuovo impegno finanziario da parte dell’Ue. Di fatto, Bruxelles si limita a incoraggiare i governi a utilizzare i proventi ricavati dal nuovo mercato Ue del carbonio, il sistema Ets di scambio delle emissioni che traduce in pratica il principio “chi inquina paga”. Peccato solo che il sistema valga esclusivamente per la manifattura europea che rischia di andare fuori mercato per la concorrenza sleale da parte della manifattura cinese.
Non solo industria sostenibile. Con le elezioni europee imminenti, accelera anche l’impegno della presidenza belga dell’Ue per chiudere quanti più dossier possibili del “Green Deal”. Dal Consiglio Ue – riunito in formato Agricoltura – è arrivato il via libera anche alle nuove norme sull’ecodesign per la progettazione ecocompatibile dei prodotti, che tra le altre cose introducono un divieto di distruzione dei vestiti invenduti – fenomeno in crescita colossale grazie anche al boom delle vendite per corrispondenza a poco prezzo dei grandi marchi cinesi – e un passaporto digitale per le informazioni degli stessi prodotti. I ministri hanno confermato l’accordo con l’Eurocamera che secondo Roma – unica al tavolo ad astenersi – non ha garantito di raggiungere un testo equilibrato a tutela dell’ambiente tenendo conto delle esigenze manifatturiere.
L’Italia si è invece espressa favorevolmente alla stretta sulle fughe di metano provenienti dai settori energetici: dal petrolio al gas, passando per il carbone e il biometano. I Paesi hanno confermato l’intesa politica raggiunta a novembre con l’Eurocamera per costringere le compagnie energetiche a rilevare e riparare regolarmente le perdite di metano derivate dalle loro attività, comprese le importazioni. Una stretta con cui Bruxelles punta ad accelerare la lotta al cambiamento climatico, dal momento che il metano è un potente gas serra con una maggiore capacità di intrappolare calore rispetto alla CO2, e dunque un impatto sul surriscaldamento di oltre 80 volte superiore a quello dell’anidride carbonica su un periodo di 20 anni. Peccato solo che nulla si possa fare per arginare lo scioglimento del permafrost, il terreno perennemente ghiacciato esistente oltre il Circolo polare artico, che specie in Russia sta causando un rilevantissimo aumento delle emissioni di gas metano fino ad oggi intrappolato nei ghiacci, generando vistosi fenomeni come la creazione di crateri nel terreno. Come al solito, l’Unione europea vieta le pagliuzze all’interno del proprio confine, ignorando che le emissioni in atmosfera non hanno alcun confine.
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