Secondo uno studio della Cgia di Mestre, la pubblica amministrazione italiana spende inutilmente (ovvero spreca) almeno 16 miliardi di euro, pari ad una “manovra” completa
Tra gli sprechi presenti nella sanità, le misure di contrasto alla povertà percepite da famiglie abbienti e la quota di spesa pubblica indebita denunciata dalla Guardia di Finanza, l’Ufficio studi della Cgia di Mestre ha stimato in almeno 16 miliardi di euro all’anno le uscite che l’amministrazione pubblica italiana potrebbe risparmiare se funzionasse con maggiore oculatezza, tipica di un buon padre di famiglia.
Inoltre, se si potesse quantificare anche la spesa riconducibile ai falsi invalidi, a quella riferita a chi percepisce deduzioni/detrazioni fiscali non dovute o alla cattiva gestione del patrimonio immobiliare, molto probabilmente lo Stato, nel suo complesso, potrebbe risparmiarne altrettanti. Insomma, almeno una trentina di miliardi di euro di spese inutili potrebbero essere recuperati a vantaggio di tutta la comunità ed abbattere l’asfissiante pressione fiscale che grava su chi paga le tasse regolarmente.
Una montagna, quella degli sprechi della pubblica amministrazione, che, secondo la l’Associazione artigiani di Mestre, assume una dimensione ancor più preoccupante se si tiene conto dei dati forniti dal Fondo Monetario Internazionale: se l’amministrazione pubblica avesse in tutta Italia la stessa qualità nella scuola, nei trasporti, nella sanità, nella giustizia, etc. etc. che ha nei migliori territori del Paese, il Pil nazionale aumenterebbe di 2 punti (ovvero di oltre 30 miliardi di euro) all’anno. Non poco (circa il 4%) della spesa totale di 830 miliardi di euro all’anno.
«Dopo aver approvato in fretta e furia una legge di Bilancio molto generosa sul fronte delle uscite – esordisce il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – ora, dopo la richiesta da parte dell’Ue di correggere i nostri conti pubblici per 3,4 miliardi, il Governo decide di recuperarli agendo soprattutto sul fronte delle entrate. Non sarebbe il caso, invece, di intervenire in misura più aggressiva nei confronti della spesa pubblica improduttiva che risulta avere ancora dimensioni molto preoccupanti?»
Pur riconoscendo gli sforzi fatti dagli ultimi esecutivi sul fronte della revisione della spesa, la Cgia continua a ritenere che sarebbe sbagliato recuperare una buona parte dello 0,2% di taglio del deficit/Pil richiestoci da Bruxelles aumentando, ad esempio, le accise sui carburanti.
«Ricordo – conclude il segretario della Cgia Renato Mason – che l’80% circa delle merci italiane viaggia su gomma. E’ vero che grazie al rimborso delle accise gli autotrasportatori, solo quelli con mezzi sopra i 35 quintali, possono recuperare una parte degli aumenti fiscali che subiscono alla pompa. Tuttavia, nel caso scattassero gli incrementi di accisa, potrebbero verificarsi dei rincari dei prodotti che troviamo sugli scaffali dei negozi e dei supermercati del tutto ingiustificati, penalizzando soprattutto le famiglie a basso reddito».
Più che a passare nuovamente attraverso le tasche dei contribuenti con rincari e ritocchi di accise, Padoan e Gentiloni farebbero meglio a dimostrare, una volta tanto, di essere dei buoni padri di famiglia (e anche dei buoni amministratori pubblici) recuperando i 3,4 miliardi di euro di correzione del deficit statale chiesti dalla Commissione europea (pari allo 0,4% della spesa pubblica nazionale di 830 miliardi di euro) attraverso una contrazione degli sprechi e degli sperperi presenti nel comparto pubblico.