Liquidazioni ex dipendenti pubblici: la Corte costituzionale cassa il differimento

Il provvedimento ritenuto in contrasto con la Costituzione e la parità di trattamento con i lavoratori privati. Per il governo Meloni necessità di trovare 14 miliardi.

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Pagare in ritardo le liquidazioni ex dipendenti pubblici andati in pensione, il Tfs, il trattamento di fine servizio, è incostituzionale: lo ha deciso la Corte Costituzionale con la sentenza numero 130 – redattrice la giudice Maria Rosaria San Giorgio – con cui sono state dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale in merito al differimento e alla rateizzazione delle prestazioni di fine servizi che spettano ai dipendenti pubblici che vanno in pensione per raggiunti limiti d’età o di servizio.

Differire la corresponsione delle liquidazioni ex dipendenti pubblici a chi va in pensione per raggiunti limiti di età o di servizio rappresenta una «lesione delle garanzie costituzionali» del lavoratore. Per questo è «indefettibile» e «prioritario» un intervento riformatore del Parlamento perché rimuova questo «vulnus». Il richiamo arriva dalla Corte costituzionale che già in passato aveva rivolto un analogo monito alle Camere rimasto inascoltato. Stavolta però la Corte costituzionale avverte: «non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa sui gravi problemi» segnalati.

Sotto accusa, l’articolo 3 comma 2 del dl n. 79 del 1997- che ha introdotto un termine dilatorio di un anno per la corresponsione della liquidazione- e l’articolo 12, comma 7, del dl n. 78 del 2010, che ha invece previsto la rateizzazione del Tfs. I dubbi di costituzionalità erano stati sollevati dal Tar del Lazio e per la Consulta sono fondati. Tuttavia le questioni sollevate sono state giudicate inammissibili perché il modo con cui superare questa ferita attiene alla discrezionalità del legislatore, considerato «il rilevante impatto in termini di provvista di cassa che il superamento del differimento comporta».

Spetta al Parlamento stabilire mezzi e le modalità di attuazione di una riforma che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico-finanziaria e assicuri una «gradualità» di intervento, magari partendo dai «trattamenti meno elevati per estendersi via via agli altri». Quello che è certo è che non c’è più tempo da perdere.

Rinviare il pagamento delleliquidazioni ex dipendenti pubblici – spiega la Consulta nella sentenza redatta dal giudice San Giorgiocontrasta con «il principio costituzionale della giusta retribuzione», di cui tali prestazioni costituiscono una componente; principio che si sostanzia «non solo nella congruità dell’ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività della erogazione». Si tratta di «un emolumento volto a sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una particolare e più vulnerabile stagione della esistenza umana», nota la Corte.

E la disciplina del pagamento rateale delle indennità di fine servizio, nonostante preveda temperamenti a favore dei beneficiari dei trattamenti meno elevati, in quanto combinata con il differimento «finisce per aggravare il rilevato vulnus».

Gli effetti per lo Stato li aveva calcolati a maggio l’allora presidente dell’Inps, Pasquale Tridico: «il costo di 14/15 miliardi è alla portata dell’Istituto» e i sindacati chiedono la rapida attuazione della sentenza che pone fine ad una dilazione variabile dai 2 ai 7 anni nell’erogazione del salario differito dei lavoratori del pubblico andati in pensione.

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