Legge di bilancio 2025: stretta digitale all’evasione ed elusione

Obiettivo recuperare almeno 1,2 miliardi nel trienno, a fronte dei 200 miliardi stimati dall’Istat che sfuggono al fisco. Ma alcuni provvedimenti rischiano il boomerang, come l’estensione della web tax anche ai “piccoli”.

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La legge di bilancio 2025 intende stringere le maglie dell’evasione ed elusione fiscale, che l’Istat stima in 200 miliardi di euro all’anno pari al 10% del Pil nazionale. E lo fa con un’ulteriore spinta alla tracciabilità, pagamenti elettronici, incrocio delle banche dati. L’obiettivo è recuperare gettito, 1,2 miliardi di euro in 3 anni, oggettivamente un po’ poco, visto che sarebbe logico impegnarsi per recuperare almeno il 10% dell’evasione stimata ogni anno, non in un triennio.

Mentre su tv e siti va in onda a ripetizione lo spot del ministero dell’Economia (“Da oggi la bella vita è finita. L’evasione si paga”, recita la voce fuori campo mentre le immagini promettono più controlli e mettono in contrapposizione onesti che pagano ed evasori per i quali pagano gli altri), la legge di bilancio 2025 introduce misure specifiche che vanno a toccare le procedure fiscali di negozi, imprese e professionisti. Provvedimenti che in alcbuni cabsi rischiano di innescare boomerang al gettito fiscale se non saranno modificate nel corso della discussione della legge dal Parlamento.

Viene previsto l’obbligo, a partire dal primo gennaio del 2026, di collegare i Pos ai registratori di cassa, in modo tale che quest’ultimo possa memorizzare sempre le informazioni minime di tutte le transazioni elettroniche e trasmettere all’Agenzia delle Entrate l’importo complessivo dei pagamenti elettronici giornalieri. Chi non rispetterà la norma sarà soggetto a sanzione e al ritiro della licenza.

La lotta al tax gap si estende anche alle locazioni brevi, con l’indicazione del Cin nelle dichiarazioni fiscali e nella certificazione unica, e al mercato di energia elettrica e gas, dove l’obiettivo è il recupero di accise e Iva.

Per le imprese e i professionisti arrivano però novità sulle modalità dei pagamenti: le spese non potranno essere dedotte dall’imponibile se non saranno tracciabili, il che significa che ristoranti, taxi o alloggi non potranno essere pagati in contanti, ma solo con carte o bonifici. Un sostanziale cambiamento di abitudini, considerando le stime della relazione tecnica alla manovra: i pagamenti in contanti ammontano infatti ad oltre il 76% per ristorazione e alloggi e a più del 68% per taxi e Ncc, con una “propensione al gap” rispettivamente del 21% e del 50%. Proprio dalle misure sulla tracciabilità deriverà non a caso il gettito maggiore, pari a circa 1 miliardo nel triennio.

Sono invece di tutt’altro tenore gli incassi stimati di altre due misure per le quali sono state criticate. L’innalzamento dell’aliquota sulle plusvalenze legate a Bitcoin e criptoattività, già particolarmente difficili da individuare, porterà nelle casse dello Stato meno di 17 milioni l’anno in più rispetto ai 27 milioni di oggi. Salvo probabilmente distruggere il mebrcato italiano con il 42% d’imposizione.

Particolarmente controproducente l’allargamento della “web tax” al 3% su tutti gli operatori economici che utilizzano una piattaforma digitale per le loro attività da cui traggono introiti pubblicitari, vendite e sponsorizzazioni, visto che il provvedimento nato per colpire i giganti mondiali del Web ora riguarda tutti, particolarmente pmi e start-up, che dovrebbe garantire circa 52 milioni di euro l’anno, ma che rischia di innescare una corsa al dissesto economico in un settore dove la concorrenza dei giganti mondiali è del tutto illecita, sia dal punto di vista fiscale che dello sfruttamento non autorizzato dei contenuti.

 

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