La decontribuzione ha spinto alla trasformazione massiccia dei contratti di lavoro a termine in a tempo indeterminato. A gennaio 2016 crollo delle nuove assunzioni: -39,5%
Nel 2015 in Italia, tra nuove assunzioni e trasformazioni di contratti a tempo, sono stati attivati 2.501.000 rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Il 63,3% del totale di questi contratti è stato assistito dall’esonero contributivo triennale previsto dal governo. Un dato, quello rilevato dal Centro Studi “ImpresaLavoro” sui numeri resi noti dall’Inps, che se analizzato su base regionale mette in luce alcune interessanti differenze tra i territori.
Il Governo Renzi ha suonato la gran cassa dinanzi a questi risultati, ma non è tutto oro quel che luccica. A fronte di un investimento complessivo di circa 12 miliardi di euro nel 2015, secondo l’Inps gran parte di queste “nuove” assunzioni altro non sarebbero che sostituzione di contratti a termine con altri a tempo indeterminato al fine di sfruttare il generosissimo incentivo costituito dalla decontribuzione di 8.060 euro per ciascuna nuova assunzione a tempo indeterminato per tre anni. Di fatto, i nuovi assunti “veri”, al netto delle trasformazioni dei contratti già in essere, sarebbero poco più di 120.000 unità. Davvero un po’ pochini per giustificare la generosa erogazione incentivante. Che la situazione del mercato del lavoro non sia affatto rosea si evince anche dal tonfo delle nuove assunzioni a tempo indeterminato registrato a gennaio 2015, quando la decontribuzione è stata tagliata da 8.060 euro a 3.250 euro anno riducendo il periodo da tre a due soli anni: rispetto a gennaio 2015, a gennaio 2016 il calo è stato del 39,5%.
Complice la deflazione che allarga sempre più le sue spire, le imprese stanno ben attente a fare nuove assunzioni, visto che non è affatto detto che il mercato sia in grado di assorbire la nuova produzione, anche in presenza di un calo dell’export, tant’è che a gennaio 2015 è nuovamente esploso il ricorso ai voucher per il pagamento ad ora delle prestazioni lavorative.
Insomma, se non è un boomerang per il Governo Renzi, poco ci manca, con in più il risultato di avere buttato dalla finestra una montagna di denaro pubblico che avrebbe potuto essere impiegato per scopi più produttivi per rilanciare l’economia in modo sano e duraturo.
Secondo Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro, «l’analisi dell’andamento degli occupati in Italia segnala come non vi sia stato un incremento sensibile dei nuovi posti di lavoro e come la decontribuzione abbia favorito l’attivazione di nuovi contratti a tempo indeterminato perché molto vantaggiosi oppure la trasformazione di rapporti di lavoro a termine o atipici. Un obiettivo perseguito dal governo con l’impiego di risorse consistenti. I numeri dell’occupazione – continua Blasoni – confermano come sia complesso slegare l’andamento del mercato del lavoro da quello dell’economia più in generale: con una crescita economica così debole, anche in presenza di incentivi molto vantaggiosi, si avranno riflessi occupazionali limitati e destinati a svanire non appena gli incentivi venissero ridotti o azzerati completamente. La diminuzione delle tasse sul lavoro va comunque accolta come un fattore positivo. Probabilmente, però, sarebbe stato meglio concentrarsi su interventi strutturali a riduzione del costo indiretto del lavoro in modo non più congiunturale»