Eccelle in Nord mentre arranca il Sud, specie nella spesa della cultura e della salute
di Paolo Ermano, Centro studi ImpresaLavoro
Con il rapporto “Benessere Equo e Sostenibile” (BES), l’Istat da qualche anno sperimenta un diverso modo di sintetizzare la qualità della vita in Italia. Meno sintetico del PIL, ma per questo più ampio e ricco, il Rapporto BES propone, invece di un unico numero, dodici aree tematiche, dalla salute al paesaggio, dal benessere soggettivo al lavoro, ognuna analizzata tenendo conto di diversi indicatori, per fornire una lettura più articolata della nostra società.
Dal punto di vista metodologico, dove possibile questi indicatori sono poi sintetizzati in un indice composito che permette anche di fare una classifica fra le regioni in ciascun settore analizzato.
Nel rapporto 2015, l’indice composito è proposto per le seguenti aree tematiche:
1) Salute
2) Istruzione e Formazione
3) Lavoro e conciliazione tempo libero
4) Benessere economico
5) Relazioni sociali
6) Sicurezza
7) Benessere soggettivo
8) Paesaggio e Patrimonio culturale
9) Ambiente
Sono esclusi, quindi: Politica e istituzioni, Ricerca e Innovazione, Qualità dei Servizi.
Indicativamente, questi nove indici sintetici si prestano a essere valutati alla luce della spesa pubblica sostenuta nelle singole regioni. Si potrebbe supporre che laddove la spesa risulti più alta si possano osservare valori più elevati nelle variabili considerate, cioè una qualità di vita migliore.
Da questo punto di vista i dati proposti dall’Agenzia per la coesione territoriale nei conti pubblici territoriali (CPT) rappresentano un valido supporto d’indagine.
Purtroppo, data la composizione degli indici aggregati, non è sempre facile definire quali voci dei CPT siano da imputare al singolo indicatore. Per esempio, l’indicatore del Benessere Soggettivo è la sintesi di misure che hanno a che vedere con la soddisfazione per la propria vita, soddisfazione per il tempo libero e i giudizi sulle aspettative future: variabili sulle quali è impossibile determinare quale voce di spesa possa incidere e in quale misura.
Pertanto, partendo da queste nove aree tematiche è stato possibile compiere una valutazione appropriata fra l’indice composito e le voci di spesa dei CPT solo per cinque aree:
1) Salute
2) Lavoro
3) Sicurezza
4) Istruzione
5) Ambiente
Nonostante queste limitazioni, i risultati ottenuti propongono una riflessione importante sulla spesa pubblica in Italia. Emerge infatti come solo su alcuni ambiti (sicurezza e lavoro) una maggior spesa pubblica porti effettivamente a risultati migliori. In altri, come il settore istruzione, la spesa pro-capite non spiega i risultati ottenuti nelle singole regioni. Forse è il caso di riflettere in maniera meno ideologica sull’importanza di organizzare bene l’attività del settore pubblico.
Salute
Il tema della salute è alla base del benessere individuale e per questo è il primo dei temi affrontati dal rapporto Istat. Come già indicato, l’indice composito, che in tutti i temi discussi qui è costruito in modo da dare un voto più alto a chi ottiene i risultati migliori, tende a considerare sia dati direttamente influenzati dalla spesa sanitaria volta alla cura delle persone, sia dati relativi all’attività di prevenzione. Da questo punto di vista, la voce dei CPT relativa alle spese del comparto salute copre le stesse aree tematiche: cura e prevenzione. Confrontando la classifica ricavata dall’indice composito con la spesa regionalizzata non emerge chiaramente un legame fra spesa e risultati: ad esempio, la Liguria spende circa 200 euro pro-capite in meno della Lombardia raggiungendo circa gli stessi risultati in termini generali. Si confrontino poi i risultati di Emilia Romagna, Toscana e Friuli Venezia Giulia: con differenze intorno ai 400 euro pro-capite a testa, queste regioni ottengono sostanzialmente lo stesso risultato. Se la Toscana spendesse quanto l’Emilia Romagna dovrebbe indirizzare quasi 1,5 miliardi di euro alla sanità in più, una cifra davvero ragguardevole, pari a quasi ¼ dell’attuale spesa. Senza parlare della Sardegna e Piemonte: a parità di spesa pro-capite, raggiungono posizioni molto diverse in classifica.
Da questi pochi indicatori, risulta chiaro che la qualità di un servizio sanitario non è solo una questione di risorse impiegate: in un periodo di restrizione della spesa pubblica, ragionare in maniera più strutturata su come migliorare il servizio diventa una priorità.
Lavoro
Anche il tema del Lavoro viene analizzato dal BES secondo quattordici variabili che vanno a comporre l’indice sintetico. Di queste solo una misura, la soddisfazione sul lavoro, riguarda una variabile sulla quale la spesa pubblica ha una scarso potere di influenza. Per il resto, la spesa pubblica sintetizzata nelle variabili lavoro dei CPT può essere ragionevolmente considerata la leva per migliorare gli indici del BES considerati.
La spesa pro-capite, è bene specificarlo, dipende da due voci dei CPT: quella relativa al lavoro e quella relativa alla previdenza. Per questo è influenzata dalla presenza di strumenti come la cassa integrazione che nel 2013 aveva un peso rilevante: le regioni con un tessuto produttivo più sviluppato sono quelle che più hanno beneficiato dello strumento di tutela dei lavoratori, e quindi sono le regioni con una spesa significativamente più elevata. Tuttavia le performance delle singole regioni dipendono, di nuovo, anche da altri fattori: per esempio, nelle prime dieci regioni troviamo solo regioni del Nord con livelli di spesa molto variegati e con risultati tutto sommato comparabili. Di nuovo, sembra emergere che più che la quantità della spesa, conti la qualità della spesa.
Colpisce il ritardo del Centro-Sud: Abruzzo e Lazio, con livelli di spesa pro-capite pari a quelli della Provincia di Bolzano e della Valle d’Aosta rispettivamente, ottengono performance di certo meno brillanti.
Sicurezza
Il tema della sicurezza in questi anni è diventato dirimenti in molti dibattiti politici, così come nella percezione della qualità di un territorio da parte dei cittadini. Anche per queste ragioni, l’indicatore Istat prende in considerazioni dati oggettivi, come il tasso di omicidi o di furti nelle abitazioni, e li incrocia con informazioni sulla percezione di sicurezza/insicurezza della popolazione. Entrambi i fattori sono influenzati nel medio lungo periodo dalla capacità d’intervento dello Stato, per quanto fattori culturali possano incidere in maniera sostanziale sul senso di sicurezza che una comunità può garantire ai suoi membri. Come mette in evidenza la tabella, il livello di spesa pro-capite nelle diverse regioni è, nuovamente, abbastanza variegato.
Paradossalmente, ad esclusione del Lazio, il cui costo pro-capite è di gran lunga il più elevato per la presenza delle Istituzioni più importanti del nostro Paese a Roma, tendenzialmente le regioni che spendono proporzionalmente di più in sicurezza presentano un valore composito più elevato.
Interessante notare, inoltre, come le regioni più problematiche, quelle in cui i dati sulla sicurezza sono i più modesti, sono collocate tanto al Nord quanto al Sud del Paese, indicando ad opinione di chi scrive come quei fenomeni di criminalità storicamente collocati in aree geografiche ben definite del Paese oramai non rappresentino più l’unica minaccia reale e percepita alla sicurezza delle persone; non è solo una questione economica, quanto demografica: molte delle regioni che ottengono scarsi risultati nell’indice composito non sono necessariamente le più ricche del Paese, ma sono quasi esclusivamente quelle a più alta densità abitativa.
Istruzione
Ecco un settore in cui ci si dovrebbe aspettare che chi spende di più riesce a ottenere risultati migliori, in un ambito che finalmente inizia a essere unanimemente considerato strategico sia per formare cittadini consapevoli, sia per creare le condizioni di sviluppo nella nuova economia della conoscenza. Purtroppo, o per fortuna, così non è: spesa e risultati sembrano poco correlati.
Anche in questo caso l’indicatore analizza diversi aspetti: dal livello di alfabetizzazione, alla partecipazione all’alta formazione, alla capacità di dare opportunità a chi finisce il ciclo scolastico. Se impressiona la spesa pro-capite delle Provincie autonome di Trento e Bolzano, zone i cui dati macroeconomici certificano sia una ripresa più vigorosa che nel resto del Paese, sia un’attenzione alla formazione di persone altamente qualificate più elevata che altrove, nelle altre regioni la spesa pro-capite è sostanzialmente simile, attestandosi poco al di sotto dei 1.000 euro pro-capite. Eppure i risultati conseguiti sono diversi, con la Sicilia, ad esempio, che arriva ultima nella classifica con una spesa identica al Friuli Venezia-Giulia, posizionato in terza posizione, primo tra quelli con un livello di spesa in linea con la media italiana.
Quindi, di nuovo, il problema non è relativo alla risorse che mancano, quanto al modo in cui queste sono spese: e, parlando di educazione, una riflessione più seria rispetto alla semplice quantificazione delle dotazioni è d’obbligo per garantirsi gli investimenti in capitale umano necessaria rilanciare l’economia e la società italiana.
Ambiente
L’ultimo indicatore che abbiamo preso in considerazione è quello ambientale. Sempre più spesso ci troviamo a fare i conti con i danni derivati da un clima sempre più bizzoso e imprevedibile a causa del cambiamento climatico. Per rispondere a questo mutamento delle condizioni ambientali, investire sul territorio in termini preventivi diventa un elemento critico per garantire una gestione normale di eventuali eventi metereologici eccezionali.
In questi termini, l’indice composito riferito all’ambiente permette una prima valutazione della qualità di un territorio e degli investimenti fatti per garantire una sua stabilità ecologica.
Di nuovo, riemerge la grande varietà negli impegni di spesa: abbiamo regioni dove si spendono meno di 100 euro a testa e regioni in cui la spesa pro-capite supera di molto questa soglia. Tanta varietà per un territorio così complesso non sembra essere una risposta ottimale al problema della qualità dei territori. E colpiscono i risultati non certo lusinghieri di regioni, come ad esempio la Toscana, dove il territorio rappresenta un asset chiave per lo sviluppo economico del turismo e per la preservazione di un patrimonio artistico-culturale unico al mondo. Lo stesso potrebbe dirsi per la Regione speciale Sicilia.
Forse il regionalismo in ambiti come questi, in cui si deve preservare lo spazio e quindi l’identità di una comunità, dovrebbe essere ripensato in un’ottica di maggior accountability dell’azione di governo. Oramai sembra un obbligo più che una delle possibili proposte.