Italiani popolo di evasori incalliti, specie tra i lavoratori autonomi?

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La Cgia smentisce decisamente la relazione della “Commissione Giannini”

euro soldi evasione fiscaleL’evasione fiscale e contributiva arriva a quota 111,6 miliardi nel 2014, in aumento rispetto ai 109,8 miliardi del 2013 e 107,6 miliardi del 2012. Le stime sono contenute nella “Relazione annuale sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva”, realizzata dall’apposita commissione del ministero dell’Economia presieduta da Enrico Giovannini.

In audizione nella commissione per l’Anagrafe tributaria, Giovannini ha spiegato che attualmente è possibile «quantificare l’evasione fiscale per circa il 70% dei tributi; stiamo ancora lavorando per far sì che nel corso del 2017 la relazione copra il rimanente 30% dei tributi». Rispetto al 2013 si registra un incremento di 1,8 miliardi di euro (+1,7%), ottenuto da un incremento di 844 milioni dall’evasione fiscale (+0,8%) e per 1.007 milioni dall’evasione contributiva (+9,8% rispetto al 2013). Rispetto al 2013, si registra un incremento del “tax gap” per l’Iva di 1,1 miliardi di euro e una riduzione di quello relativo all’Irap di 245 milioni di euro. 

Il “tax gap”, cioè la differenza «tra quanto si dovrebbe pagare sulla base effettiva dell’economia e quanto viene riscosso –  spiega Giovannini – è molto eterogenea per settore di attività economica, per territorio e per imposta». Il recupero di evasione fiscale, sottolinea il presidente, è fondamentale perché ha consentito al governo di postare, nella legge di bilancio, «alcune centinaia di milioni per la riduzione fiscale sui contribuenti che pagano le imposte».

Le conclusioni della Commissione sono confutate dall’Associazione artigiani di Mestre: «l’Italia è un popolo di evasori fiscali? Assolutamente no – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – anche perché i 110 miliardi di evasione fiscale e contributiva denunciati quest’oggi sono pressoché stabili da  almeno 10 anni, mentre nello stesso periodo l’Amministrazione finanziaria a visto aumentare notevolmente il numero di strumenti a disposizione per contrastare chi evade il fisco». Per Zabeo «ci sono ancora moltissime persone completamente sconosciute al fisco che continuano a nascondere quote importanti di valore aggiunto. Non dimentichiamo, poi, il mancato gettito imputabile alle manovre elusive delle grandi imprese, delle multinazionali del web e alla fuga di alcuni grandi istituti bancari e assicurativi che hanno spostato le sedi fiscali nei Paesi con una marcata fiscalità di vantaggio per pagare meno tasse».  

Secondo Giovannini, dei 110 miliardi di euro di evasione stimata in Italia, una quota importante sarebbe riconducibile ai lavoratori autonomi/imprenditori. Secondo queste tabelle, l’evasione Irpef degli autonomi ammonterebbe al 59%. Una quota che l’Ufficio studi della CGIA contesta pesantemente: «rispetto alla stima calcolata dal ministero dell’Economia e delle fnanze ottenuta dalla differenza del gettito Irpef potenziale con quello reale – afferma Zabeo – i dati relativi alle ultime dichiarazioni dei redditi degli autonomi riferiti al 2014 ci dicono che, mediamente, i soggetti sottoposti agli studi di settore che sono congrui e coerenti (pari al 76% del totale) hanno dichiarato 42.000 euro. Ebbene, se l’evasione Irpef ammontasse al 59%, queste attività dovrebbero dichiarare mediamente più del doppio. Una situazione, viste le difficoltà del nostro Paese, pressoché impossibile».

Non solo. Dalla Cgia si ricorda che i dati Istat relativi al 2015 sulla povertà delle famiglie italiane, quelle con il reddito familiare principale da lavoro autonomo presentano un livello di rischio più elevato di tutte le altre. Se quelle da lavoro autonomo presentano un rischio povertà del 25,8%, quelle dei pensionati scendono al 21% e quelle da lavoro dipendente al 15,5%. «In altre parole – conclude Zabeo – se l’evasione degli autonomi fosse così elevata come sostiene il MEF, come si giustificano questi dati dell’Istat sulla povertà delle famiglie dei lavoratori autonomi?»

Infine, la Cgia contesta anche la tesi sostenuta da Giovannini in cui i controlli sulle attività economiche da parte del fisco sarebbero insufficienti. Oltre ai 280.000 accertamenti effettuati l’anno scorso, si sono aggiunti 500.000 controlli strumentali della Guardia di Finanza (su scontrini, ricevute e documenti di trasporto) e oltre 530.000 richieste di chiarimenti effettuate dall’Agenzia delle Entrate ai contribuenti in possesso di partite Iva.

Critiche al rapporto Giovannini anche da Confesercenti: «a parte la solita presunta inclinazione all’evasione delle imprese italiane, come sempre tirata in ballo in questi casi, bisognerebbe analizzare approfonditamente anche l’effetto dell’abusivismo (offline ed online) sul “tax gap”. Si tratta di un fenomeno ormai fuori controllo: nel commercio e nel turismo gli abusivi hanno un giro d’affari di 21,4 miliardi di euro l’anno, il valore di una manovra». 

Secondo Confesercenti dall’incrocio dei dati camerali, dell’agenzia delle entrate e dell’Inps, «emergono quasi 100.000 irregolari nel solo commercio ambulante; a questi vanno poi aggiunte altre migliaia di attività abusive nella ristorazione e nella ricettività, la cui crescita è stata accelerata dall’insufficienza di regole e controlli sulle nuove piattaforme digitali di sharing economy. Nonostante la gravità della situazione, però, registriamo su questo fronte l’immobilità totale, dalla webtax alle misure di contrasto del fenomeno su strada. Serve invece un piano organico e strutturato, che gioverebbe in primo luogo allo Stato: secondo le simulazioni che abbiamo condotto con Ref Ricerche, se le attività abusive fossero azzerate l’Erario recupererebbe 11,1 miliardi di euro. Risorse sufficienti non solo per finanziare la manovra correttiva richiesta dall’Unione Europa, ma anche per raddoppiare la platea di beneficiari del bonus da 80 euro. Ci guadagnerebbe anche l’occupazione: la regolarizzazione farebbe emergere 32.000 posti di lavoro aggiuntivi».